Nell’era post-digital è il momento di puntare su nuove competenze e tecnologie, partendo dal cloud

Una indagine sul ruolo di Cloud, IoT, Big Data, Blockchain e Intelligenza Artificialea livello di Supply Chain condotta da Gruppo Digital 360 in collaborazione con Oracle pone l’accento sulla sfida della competitività e delle competenze

Pubblicato il 05 Lug 2018

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Una importante occasione di incontro, di confronto e di riflessione non semplicemente sui temi della digital transformation, ma soprattutto su come impattano sull’organizzazione delle imprese e sulla loro supply chain, con un focus specifico su alcune tecnologie che più di altre – o forse sarebbe più corretto dire prima di altre, con un’accezione temporale al termine “prima” – accelerano i processi di trasformazione.
Così, in sintesi estrema, possiamo definire l’evento organizzato da Oracle e Gruppo Digital360, in particolare dalle testate Internet4Things e Blockchain4Innovation, alla presenza di una trentina di CIO e decisori aziendali, di realtà di medie e grandi dimensioni, appartenenti al mondo del manufacturing, banking, pharma, energy.

L’occasione, la presentazione dei risultati della ricerca condotta da Gruppo Digital 360, in collaborazione per l’appunto con Oracle, su un gruppo di 50 medie e grandi aziende italiane, con l’obiettivo di comprendere con quale convinzione e con quali prospettive queste realtà hanno affrontato o si preparano ad affrontare gli investimenti in cinque tecnologie chiave (Cloud, IoT, Big Data, Intelligenza Artificiale, Blockchain) considerate abilitatori delle strategie di digital transformation.

Anzi, di “cambiamenti paradigmatici”, come li definisce Andrea Rangone, CEO Digital360 e co-founder Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano, “dai quali non solo deriva una nuova fisionomia delle imprese, ma anche nascono imprese del tutto nuove anche nel loro modo di stare sul mercato e di fare business”.

Affrontare il cambiamento dell’era post-digital

Prima di entrare nel merito delle evidenze emerse dalla ricerca, è stata Luisella Giani, Emea Business Innovation Director di Oracle, a dare un quadro di insieme utile a inquadrare il periodo nel quale ci troviamo.
Un’era che Giani definisce la nostra era già “post-digital”, facendo sua una citazione divenuta famosa di Kay Boycott, CEO di un ente di ricerca medica britannico, secondo il quale “Tra poco l’avere una strategia digitale suonerà altrettanto ridicolo che l’avere una strategia per l’elettricità”.

Il significato è evidente: parliamo di digitale e di digital transformation da talmente tanto tempo e i contesti nei quali viviamo e nei quali le nostre aziende operano sono talmente permeati di digitale che la cosa sulla quale è davvero importante riflettere è il livello di maturità digitale delle nostre imprese.
Perché sono legate al livello di maturità anche le loro possibilità di “sopravvivenza” e le opportunità di essere e restare competitive sul mercato.

Giani evidenzia tuttavia come tuttora il 55 per cento delle imprese sia ancora in quella fase intermedia tra l’esplorazione e la pratica, lasciando a un decisamente più modesto 24% (i dati sono di IDC) la capacità di cavalcare il digitale per iniziative di trasformazione e di disruption.

Il processo è tuttavia ineludibile, tanto che Giani di nuovo sottolinea che stiamo arrivando a un momento in cui non sarà la digitalizzazione a balzare all’occhio, bensì la sua assenza.

Siamo già nell'era post-digital?

Siamo già nell'era post-digital?

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La digital transformation e i percorsi di adozione tecnologica

Tutto questo, va da sé, si accompagna anche a un percorso di adozione tecnologica che, dall’era pre-digital a quella post-digital nella quale ci troviamo, inevitabilmente cambia. Così come cambiano i criteri di ownership – e dunque di responsabilità – le competenze, le esperienze.

Dovremmo aver superato l’era dell’attenzione alle infrastrutture e tutto sommato anche l’adozione del cloud (o per lo meno la sua necessità) dovrebbe essere data per acquisita. I nuovi mantra sono machine learning, data sciente, IoT, Robotica, Big Data.
E similmente dal ruolo centrale del CIO, i processi decisionali e le linee di indirizzo sono guidate dai CEO o dai Chief Digital Officer, per le aziende che se ne sono dotati.
Quest’ultima considerazione è un punto chiave, sul quale poi, alla luce dei dati emersi dall’indagine, Andrea Rangone, Ceo di Gruppo Digital 360 si soffermerà con una vera e propria chiamata all’azione.

Da Oracle cinque “to do” per le aziende

Da parte sua, Giani riassume in cinque punti le azioni che le aziende devono intraprendere per poter operare convintamente nell’era post-digital, di cui probabilmente solo la prima è squisitamente tecnologica:
Abbracciate nuove tecnologie e nuovi modelli di business”, è l’invito di Giani, che dunque invita ad abbandonare gli atteggiamenti difensivi, per giocare un po’ più di attacco.
Questo non significa tenere tutto in casa, ma trovare il giusto bilanciamento tra insourcing, outsourcing e integrazione anche di startup nei processi core della propria azienda.
Il terzo invito è ad uscire dalle logiche di silos per adottare una visione d’insieme, mentre il quarto è un richiamo all’azione: focalizzarsi sull’execution, secondo il try fast da sempre al cuore della open innovation.
Infine, di nuovo un invito all’apertura. Stiamo uscendo dalle logiche centralizzate: è importante il confronto, chiamando a bordo anche nuovi skill.

I risultati della survey sui CIO

Su questa analisi di Luisella Giani, che rappresenta di fatto la premessa di scenario alla ricerca, si innestano di fatto i risultati della survey sviluppata da Gruppo Digital 360, a dimostrazione che non di libro di sogni si tratta, bensì di una visione molto concreta di quanto sta effettivamente accadendo nelle imprese.
Premessa necessaria è che l’indagine è stata condotta su un campione di 50 aziende con un fatturato da 100 a 500 milioni di euro (42 per cento del campione) e dai 500 milioni di euro in su (58 per cento del totale), prevalentemente appartenenti al comparto industriale (78 per cento del campione), seguite da utility e retail.

Sono tutte realtà che hanno affrontato il tema della trasformazione digitale, i cui effetti si sono sentiti sia in termini di competenze, sia in termini organizzativi, sia ancora in termini di relazioni di filiera.

Dall’indagine emerge che le tecnologie più consolidate (Cloud, Internet of Things e Big Data Analytics) sono quelle sulle quali non solo si sono maggiormente concentrati gli investimenti negli ultimi anni, ma anche si indirizzano le maggiori aspettative per i prossimi tre anni.

Intelligenza Artificiale e, ancor di più, Blockchain, trovano relativo riscontro rispettivamente nel 41 e nel 65 per cento dei rispondenti, che in molti casi, in particolare per quanto riguarda la Blockchain, fanno ancora un po’ fatica a vedere casi di applicabilità ai propri contesti operativi.
Ma vediamo il dettaglio.

Quanti progetti su IoT e Big Data

In ambito IoT, si parla di 38 progetti avviati e 7 in fase di valutazione: le aree della produzione e delle operation sono quelle in cui si concentra la maggior parte delle iniziative in corso, seguite dalle applicazioni di tracciabilità.
L’ambito Big Data ha meno progetti attivi (25), ma con i 20 in fase di valutazione si pone sulla stessa scia dell’Internet of Things.
Anche in questo caso, le azioni si concentrano soprattutto in area operation e produzione e, a seguire, sul fronte della pianificazione (in particolare inventory planning) e del procurement.

Il cloud, come è facile immaginare, è l’ambito sul quale si concentra la quasi totalità dei progetti: 47 ormai in corso, 2 in fase di valutazione. L’unica realtà che non ha fatto investimenti in tal senso ha dichiarato di non averne bisogno.
Altissima la percentuale di attività in corso nell’ambito del ciclo documentale che, come sottolinea Giovanni Miragliotta, Direttore Osservatorio Industria 4.0, IoT, Intelligenza Artificiale Politecnico di Milano include anche il grande tema della collaboration, seguite di nuovo da produzione e pianificazione.

Con l’Intelligenza Artificiale ci si muove in un ambito più nuovo, come del resto mostrano le numeriche: sono 16 i progetti già avviati e 14 quelli in fase di valutazione. Gli ambiti applicativi vedono una buona convergenza sulla parte di produzione/operation, in particolare nella declinazione legata alla safety, seguita dalla pianificazione e dal performance management.
Chi mostra riluttanza rispetto a questo ambito di investimento, mostra soprattutto timori sull’impegno economico richiesto, o comunque dichiara di aver già fatto investimenti in altre aree e di aver dunque bisogno di capitalizzare il pregresso.

Per quanto riguarda la Blockchain, come già anticipato i numeri sono talmente irrilevanti da non costituire tendenza. Ci sono aspettative, questo sì, soprattutto su ambiti ben indentificati, come il tracking.
Secondo Miragliotta, tuttavia, le aziende hanno ancora un approccio probabilmente un po’ troppo manicheo sul tema, che sarebbe probabilmente il momento di superare.

Il commento di Andrea Rangone

Andrea Rangone, Amministratore Delegato del Gruppo Digital360

A chiusura della presentazione della ricerca, Andrea Rangone, CEO Digital360 e co-founder Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano, così commenta: “Abbiamo la fortuna di vivere in prima persona questa quarta rivoluzione industriale. È una fortuna, perché rispetto ai periodi intermedi, chi vi si trova coinvolto sperimenta sulla propria pelle accelerazioni di business pazzesche. Si stanno generando nuove imprese in tutti gli ambiti, dalle banche, alle assicurazioni, alla manifattura. Proprio per questo motivo è importante che tutte le decisioni legate ai temi dell’innovazione vadano di pari passo con un cambio di mindset imprenditoriale”.
Ed è qui che arriva la call to action di cui faceva cenno prima: “Solo se noi abilitiamo il Ceo della nostra azienda a provare, lo mettiamo nella condizione di cavalcare il futuro”, invita Rangone.

Gli fa eco Giovanni Miragliotta: “Guardando questi dati, in particolare quelli relativi al cloud e all’IoT, vien da dire che se tutte le imprese del Paese avessero questi stessi numeri, l’Italia avrebbe qualche punto percentuale di Pil in più. È chiaro che un campione di aziende di medie e grandi dimensioni è più facilmente un campione di aziende che praticano l’innovazione. La sfida è fare in modo che queste esperienze diventino esse stesse abilitatori di nuovi modelli di business”.

Le aziende devono diventare laboratori a cielo aperto”, è la conclusione, e in fondo anche l’invito, di Andrea Rangone.

Il ruolo di Oracle

In tutto questo, Oracle sceglie di giocare una partita importante, come sottolinea Gianfranco Caimi, Finance & Supply Chain Sales Director Italy Oracle.
“Una partita che parte dal cloud, vera piattaforma abilitante di tutti i percorsi di trasformazione, sulla quale si innestano sempre nuovi servizi innovativi, che oggi toccano gli ambiti dell’Industry 4.0, le tematiche legate ai digital twin e ancora la grande sfida dell’intelligenza artificiale”.

Ripensare le imprese con il cloud per l'Industry 4.0

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Soprattutto, è il punto sul quale si sofferma Caimi, proprio grazie al cloud tutta questa spinta propulsiva all’innovazione riesce ad approdare non solo sulle aziende “campioni”, sia quelle interpellate per la survey, sia quelle presenti in sala, ma anche alle realtà di più piccole dimensioni, che dunque possono giocare la sfida della competitività.
Cosa su cui concorda anche Simone Marchetti, Digital Supply Chain, Sales Development Manager.

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Nota metodologica:
La ricerca “La trasformazione digitale della Supply Chain: il ruolo di Cloud, IoT, Big Data, IoT e Blockchain” è stata condotta nel mese di maggio 2018 presso un campione di decisori aziendali di 50 aziende italiane di medie e grandi dimensioni, attraverso interviste individuali.

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