Made in Italy: Con ValueGo di Penelope parte il percorso IoT per una Industry 4.0 applicata alla filiera agroalimentare

A colloquio con Francesco Marandino che racconta il progetto pensato per dare vita a un passaporto digitale per i prodotti agroalimentari e per la realizzazione di un Food Digital ID e della collaborazione con Cisco e con l’ecosistema Digitaliani

Pubblicato il 21 Mar 2017

Francesco Marandino, AD Penelope
Francesco Marandino, AD Penelope

Valorizzare e tutelare il Made in Italy agroalimentare con nuovi strumenti e con soluzioni che permettano di aggiungere valore alla catena alimentare e di portare questo valore al consumatore finale, in modo semplice, intuitivo e facilmente comprensibile da tutti. Se si legge il progetto ValueGo di Penelope nello scenario dell’operazione Digitaliani di Cisco si può ben notare che ci sono tutti gli ingredienti per uno sviluppo del Made in Italy: da una parte la difesa di una delle linee di business più importanti del nostro paese con la possibilità di recuperare i dati e le informazioni più rilevanti per alzare il livello di interesse e di conoscenza dei nostri prodotti dall’altra una nuova opportunità di per tutela e di proposizione sui mercati nazionali e internazionali. L’idea può essere sintetizzata nel concetto di  Passaporto digitale del prodotto agroalimentare che nella pratica si configura come Food Digital ID e che ha come obiettivo garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari a partire dalla mappatura e dal controllo raffinato delle materie prime con uno strumento di coordinamento di tutta la filiera in tutti i rapporti che attengono alla integrazione tra clienti, fornitori e contesto territoriale.

Cosa può fare l’IoT per l’industria alimentare e per l’Agrifood

Per raccontare questa storia abbiamo incontrato Francesco Marandino fondatore e Ceo di Penelope, società nata dall’idea di sfruttare le potenzialità dell’Internet of Things e del digitale per creare nuovi strumenti di valorizzazione e di tutela per il Made in Italy alimentare.

«Abbiamo iniziato circa 8 anni fa puntando sul grande tema della trasparenza nella filiera di produzione – ci racconta – facendo in modo che il consumatore finale fosse oggetto di informazioni distintive per definire un percorso di valore a livello qualità agroalimentare. Il nostro obiettivo era la assicurare più sicurezza nella catena alimentare per aumentare il valore dei prodotti che arrivano al consumatore finale e per dare maggiori certezze sulla qualità».

Nei primi anni la difficoltà era quella di portare l’innovazione in un processo molto consolidato. La prassi rurale, nell’ambito della zootecnia, della cultura contadina dell’agricoltura ha guardato con attenzione le nostre proposte, ma ci siamo comunque confrontati con un mondo che faceva fatica a intraprendere questo percorso. Tante sono le ragioni di queste difficoltà a partire dalla dimensione delle imprese stesse e dalla loro polverizzazione sul territorio.

A fronte di questo scenario, come racconta Marandino: «ci siamo visti costretti a separare i due mondi della filiera agroalimentare; da una parte il Field, ovvero il campo e dall’altra l’Industria, ovvero il mondo della trasformazione alimentare».

Come risolvere il tema della frammentarietà della Supply Chain Agrifood

«La prima esigenza che abbiamo pensato di risolvere era quella di dare una risposta alla frammentarietà di una supply chain dove i diversi attori creano discontinuità e con la consapevolezza che dalle discontinuità di filiera nascono da gran parte parte delle inefficienze che pesano sulla produzione e aumentano nello stesso tempo i rischi di illeciti come ad esempio il diffusissimo rischio della contraffazione. Nello stesso tempo lo scenario nel quale si colloca la nostra esperienza è quella di un ambiente con una elevata movimentazione di merci e nello stesso tempo con un controllo che (quando avviene) è regolato da una normativa, quella italiana appunto, che è tra le più rigide nell’agroalimentare a livello mondiale.

Il problema è che oggi il controllo avviene ancora sulla base di un criterio di campionamento e alla luce delle attuali infrastrutture non potrebbe essere altrimenti. Si deve ragionare per algoritmi di controllo a campione, che offrono un livello di affidabilità limitato che però pone seri limiti dal punto di vista del controllo della qualità del prodotto finito. La sfida di Penelope è proprio quella di superare questi limiti e di guardare in modo completamente nuovo alla qualità dei prodotti.

ValueGo: una soluzione per crescita del valore lungo tutta la filiera

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Con l’IoT si può spostare il controllo di qualità sul field

«La nostra logica è quella di spostare il controllo già nella fase field – spiega Marandino – Se il mio prodotto è realizzato con ho 50 materie prime che arrivano da diversi paesi devo essere in grado di esercitare un controllo a monte, devo fare in modo che ciascuna materia prima sia accompagnata da un pacchetto di informazioni sicure e affidabili. una vera e propria carta d’identità digitale che dovrà andare a comporre la fotografia del prodotto finito». L’idea e il progetto di Marandino ha poi trovato una partnership fondamentale nella collaborazione con Cisco e ha potuto svilupparsi anche grazie alla diffusione e alle attività di promozione di una cultura digitale e di nuovi progetti nel contesto del programma Digitaliani.

Nell’agroindustria la necessità di controllare la materia prima è una operazione che incide direttamente sul business ed è «fondamentale anticipare la fase di verifica e compliance delle materie prime alla fonte e non più solo a livello di analisi a campione. «Siamo convinti – prosegue Marandino – che la vera qualità si può controllare se si va sul campo, o meglio se si dispone di informazioni genuine che arrivano direttamente dal punto in cui il prodotto viene coltivato. In questo senso un ruolo determinante è svolto dall’IoT, dai sensori che generano dati e informazioni e dai modelli di valutazione che provvedono a generare un flusso di analisi sui criteri di misurazione della qualità».

Chi ha la responsabilità di una filiera deve essere nella condizione di individuare se ci sono elementi di discontinuità nella qualità, se i criteri di produzione sono tutti correttamente rispettati».

La supply chain secondo ValueGo

«La supply chain che abbiamo disegnato come Penelope grazie al progetto ValueGo propone un processo irreversibile costituito da un insieme di dati che con l‘Internet of Things in campo sviluppa un flusso di informazioni da indirizzare verso una soluzione di Big Data che permette l’analisi di tutti i momenti che compongono le fasi di lavorazione dell’industria di trasformazione agroalimentare». Il punto di riferimento del progetto è costituito dalle indicazioni del Disciplinare che regola le attività dell’industria di trasformazione con una analisi relativa a tutti i passaggi. Marandino sottolinea che non c’è solo il momento fisico del controllo della materia prima, ma si deve essere in grado di analizzare anche il territorio con la raccolta di informazioni sensibili che possono essere portate all’attenzione dei consumatori, come ad esempio quelle legate ai temi della sostenibilità, della qualità ambientale, del rispetto delle tradizioni locali. Con questo nuovo approccio alla definizione della identità del prodotto posso registrare la qualità e la quantità del prodotto, posso verificare se è stato realizzato secondo pratiche di sostenibilità che consentono di mettere al centro di un ecosistema che merita di essere valorizzato. In altre parole il prodotto aggrega particelle di informazioni, di competenze e di dati che tracciano il profilo completo del prodotto finito  e permettono di produrre un profilo commerciale innovativo, più completo e per certi aspetti più responsabile.

Cosa può fare l’IoT nell’industria di trasformazione della pasta

A oggi una industria di trasformazione nel settore della pasta ha tradizionalmente un rapporto con il produttore di grano basato sul disciplinare. Il coltivatore deve osservare il disciplinare, ma se c’è un problema nella produzione e nel grano che viene consegnato il produttore di pasta se ne accorge solo nel momento in cui effettua una verifica a campione sul prodotto che viene consegnato. Se invece sposto l’attenzione sull’ecosistema di filiera e quindi non solo sul prodotto ma sul processo, ecco che queste informazioni diventano patrimonio di tutti ben prima che il prodotto entri nella “filiera commerciale“. Nello scenario disegnato da Marandino la supply chain preve una integrazione dei processi analoga a quella che sostiene i progetti dell’Industria 4.0.

Una filiera che guarda alla Blockchain

Questo permette di certificare il processo facendo in modo che lo stesso processo sia nella condizione si autogarantirsi ad esempio sfruttando le logiche applicative della Blockchain.

«Grazie alla Blockchain nel mondo agrifood – afferma Marandino – creo un patrimonio digitale che accompagna il prodotto lungo tutta la catena agroalimentare. Dobbiamo poi considerare – prosegue – che un prodotto fisico ha un processo irreversibile, ovviamente non si può tornare indietro. Il disciplinare deve prima di tutto rispettare tempi e modalità operative, ma deve essere controllato e fotografato per ogni momento della produzione e per ogni singolo componente del prodotto finito. Se si va in questa direzione si crea un vero patrimonio che può essere trasformato in valore e che ha le necessità di disporre di un linguaggio comune per superare tutte le logiche geografiche, fisiche, dimensionali».

Le materie prime arrivano da ogni parte del mondo: ci sono temi di sicurezza, di safety, di compliance che sono diversi per ogni paese e per ogni tipologia di filiera e di azienda. E’ necessario uniformare questo linguaggio su un processo digitale che ha come denominatore comune il valore del food. Con questo tipo di approccio si ha una visione puntuale di come lavorano tutti gli attori della filiera e si crea un contesto che permette di espellere dal sistema stesso chi vuole frodare perché viene intercettato da chi, ad esempio, analizza i dati delle merci prima di riceverle.

Lottare la contraffazione con l’IoT per valorizzare la qualità

Penelope parte dal disciplinare, lo considera un punto di riferimento per il prodotto, ma va oltre e associa le informazioni correlate alle regole di appartenenza di ciascun paese dove nasce e cresce un prodotto agroalimentare e tiene conto ad esempio delle norme igienico sanitarie, delle regole locali sulla qualità e successivamente di quelli che sono gli attributi di valore e di distintività di ciascun prodotto. Infine si aggiungono le caratteristiche di “sistema” del prodotto come la sua stessa sostenibilità e le caratteristiche legate alla sicurezza. Marandino spiega poi che se in una impresa arriva in ingresso la materia prima già certificata, ovvero preceduta da informazioni dettagliate e precise sulle sue caratteristiche si ottengono benefici che vanno ben al di là della certificazione di qualità del prodotto stesso e che attengono anche all’efficienza produttiva e alla gestione corretta di tutti i processi di produzione.

In questo caso il disciplinare diventa digitale per un processo che inizia dalla gestione dei flussi che partono dalle serie di sensori che misurano elementi qualitativi e quantitativi già sul field e prosegue con i dati legati alle attività che vengono svolte per la coltivazione e per la prima lavorazione del prodotto. Nasce un percorso con una serie di informazioni e di regole che fotografano tutto il processo di trasformazione. Oggi questa concatenazione tra tutti i processi non è ancora concepita e percepita e il passaggio di cui si sente la necessità è prima di tutto culturale e deve prevedere una innovazione che vale a livello di cambiamenti nel processo di certificazione.

Dalla supply chain alle informazioni per il consumatore

Dal punto di vista del consumatore poi è sempre più importante che non si risolva più il problema solo a livello di etichetta. Se si vuole risolvere il problema non posso basarmi solo su una etichetta che rappresenta di fatto solo una dichiarazione. Per avere informazioni forti devo entrare nel processo di produzione ed è l’unico modo che mi permette di capire se una mozzarella è fatta di latte fresco o congelato. La possibilità di scoprirlo ex post impone di lavorare in condizioni di emergenza e non più di integrazione con la produzione. E’ qui che si deve collocare la forza dell’IoT che permette di raccogliere e di lavorare su informazioni che prima nemmeno esistevano.

Penelope e l’esperienza con la case history Barilla

«Il nostro obiettivo – spiega Marandino – è di rivolgerci ai soggetti di medie e grandi dimensioni, ai grandi capifiliera che si stanno ponendo questo problema. In questo senso l’esperienza sviluppata con la case history Barilla nasce grazie allo stimolo che arriva dai responsabili della sicurezza alimentare a livello globale sino al punto di disporre di informazioni su chi e su come è stato prodotto il grano, su come è stato lavorato e su tutti i passaggi con tutti i componenti della filiera».

Marandino sottolinea ancora che si tratta di una sfida a livello culturale. In particolare chi ha controllo di filiera ha la capacità di sollecitare questa verifica sul campo, sul field, negli allevamenti, nei luoghi di produzione invitando e incoraggiando la creazione di progetti che grazie ai sensori generano dati che entrano nel patrimonio dell’azienda. L’altro grande passaggio culturale è quello di sensibilizzare le aziende sul fatto che questo patrimonio di informazioni può essere valorizzato anche a livello commerciale. Chi ha una eccellenza sul territorio può far conoscere al mondo e valorizzare la capacità di vendita anche grazie alla comunicazione, per portare anche sullo scaffale il patrimonio di informazioni che si sono create

Il ruolo della piattaforma ValueGo per l’agrifood

La Missione di ValueGo

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E’ a queste esigenze che risponde la piattaforma ValueGo che risponde a queste esigenze

  • Si parte dal tema della tracciabilità delle componenti di prodotto, con il rispetto alle normative nazionali e comunitarie, per garantire la salvaguardia della salute del cittadino, della qualità intrinseca del prodotto e dare nuove garanzie in termini di marchio del produttore
  • Il secondo punto riguarda espressamente il ruolo dell’Internet of Things e della tracciabilità vista come indipendente dalle modalità con cui il prodotto si muove lungo la filiera
  • C’è poi il tema della ottimizzazione della supply chain, del rispetto della possibilità di gestire opportunità di approvvigionamenti e vendite in modo più efficiente
  • la ottimizzazione dello stoccaggio è poi un altro punto e riguarda i modelli distributivi
  • C’è poi il miglioramento a livello di gestione dalla workforce, del rispetto dei modelli operativi d’intervento on-demand e delle attività pianificabili, che sono rese più ambiziose e complesse dal mercato attuale
  • ValueGo è uno strumento fondamentale per il contrasto alla contraffazione dei prodotti
  • La piattaforma consente di ottenere e sviluppare nuove modalità di supporto alle verifiche e alla certificazione di qualità e conformità di prodotto e di processo
  • Sullo scaffale tutto questo può tradursi in un incremento della misurabilità del valore del prodotto presso i consumatori

Ruolo di ValueGo nell’ecosistema Agroalimentare

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Big Data, IoT, Precision Farming come strumenti per far evolvere la cultura Agrifood verso una Agricoltura 2.0

Marandino conclude sottolineando la necessità di partire dall’importanza del fattore culturale per meglio comprendere le opportunità e i freni che caratterizzano il processo di innovazione nel comparto agricolo.

«Chi si occupa di tecnologia  – osserva – deve avere la consapevolezza che gli operatori del mondo agricolo si muovono e operano con una liturgia che è legata a comportamenti ancestrali, che si sono consolidati nel tempo e guardano alle innovazioni, soprattutto a quelle immateriali, con particolare diffidenza».

E’ necessario considerare questo atteggiamento. E, «quanti sono oggi impegnati su più fronti nella Smart Agricolture devono comprendere che il primo principio che deve animare l’introduzione e l’utilizzo delle tecnologie e dell’innovazione è quello del supporto alla conoscenza e tale conoscenza è il vero patrimonio su cui costruire i principi dell’Agricoltura 2.0».

Big Data, IoT, Precision farming, «sono strumenti – prosegue Marandino – e non il fine di questa nuova rivoluzione culturale nel campo agroalimentare. Il valore è nella cultura, nelle competenze, nell’esperienza e nella testa di coloro che producono, trasformano, impiantano, allevano per dare alla luce il cibo con il quale ogni giorno si nutrono tutti i popoli della Terra».

Marandino conclude anche sottolineando il valore dell’azione culturale di tante aziende: «Ben venga quindi l’azione culturale che alcune multinazionali nel campo della consulenza strategica e direzionale stanno avviando su scala globale al fine di rendere evidenti i benefici di una scelta che va nella direzione dell’adozione della diffusione di tecnologie anche per un settore molto conservativo come quello dell’Agroalimentare». A questo proposito Marandino segnala il lavoro di PricewaterhouseCoopers (PwC) con il programma “Food Trust” – Food Supply and Integrity Services (vai al sito ) che si pone proprio l’obiettivo di creare quelle interconnessioni capaci di poter far dialogare, grazie alle tecnologie, gli stakeholder che con grande difficoltà condividono informazioni tra loro.

«Si introduce in questo modo di fatto – precisa – un vero e proprio modello ecosistemico dove il cibo è al centro e le tecnologie riescono ad aggregare il contributo distintivo di tutti gli attori in termini di qualità, economicità, sostenibilità ed etica delle produzioni agroalimentari».

Per avere maggiori informazioni su ValuGo

Per vedere il video relativo al progetto con Barilla

Per maggiori informazioni sulla collaborazione di Penelope con il Dipartimento di Scienze Bioagroalimentari del CNR  

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