I vantaggi e i rischi dell’IoT per le aziende

L’Internet of Things presuppone una vera e propria trasformazione culturale all’interno di ogni organizzazione. Valutare l’adozione di una piattaforma dedicata agli oggetti connessi vuol dire essenzialmente prendere in considerazione anche le potenziali criticità e scegliere, settore per settori soluzioni e approcci in grado di mitigarle

Pubblicato il 14 Giu 2018

IoT

L’espressione Internet of Things (IoT) evoca scenari suggestivi ed è quasi sempre sostanziata da casi d’uso che mostrano gli inequivocabili vantaggi che i dispositivi connessi e l’analisi dei dati generati dalle loro interazioni possono comportare per la produttività e per il business in generale. Sarebbe meglio però precisare che a ogni opportunità corrispondono anche dei rischi, e questa affermazione è tanto più vera quanto più si considerano la complessità delle piattaforme dedicate all’Internet delle Cose e l’impatto che la loro adozione può avere sull’organizzazione. Valutare l’adozione di una piattaforma IoT quindi vuol dire essenzialmente prendere in considerazione sia i vantaggi sia le potenziali criticità e scegliere una soluzione che massimizzi i primi e mitighi le seconde. Ma andiamo con ordine.

Una definizione di Internet of Things

Cos’è esattamente l’Internet of Things? Dal punto di vista del business si potrebbe dire che l’IoT è l’insieme degli oggetti, dei software e delle piattaforme che connettono il mondo reale con l’impresa, dotandola di appendici e centri di elaborazione in grado di percepire e analizzare i segnali che arrivano dall’esterno (o dall’interno) per monitorare e descrivere la situazione contingente, con la possibilità di fare previsioni su probabili – o addirittura eventuali – sviluppi e creare strumenti a supporto dei processi decisionali. Nella declinazione più semplice della tecnologia, i sensori applicati agli oggetti possono essere utilizzati per gestire meglio gli asset aziendali, per monitorarne l’ubicazione e gli spostamenti, per automatizzare la compilazione degli inventari e mappare la disponibilità di utensili, macchinari, veicoli. La raccolta dei dati relativi a queste attività (più sono i dati, più dettagliata è la fotografia della realtà) è il primo passo per cominciare a estrarre vero valore dall’Internet of Things: la chiave di volta è la contestualizzazione delle informazioni attraverso l’incrocio con dati provenienti da serie storiche, a cui segue l’elaborazione tramite algoritmi tarati su specifici KPI. In questo modo si dà voce agli oggetti connessi. O meglio: alla loro storia, al loro utilizzo, al loro comportamento. E comprendendo le dinamiche che ne causano l’usura o ne migliorano le performance si può intervenire per ottenere diversi risultati, dal risparmio sulle operazioni di manutenzione a una migliore efficienza dei processi, passando per l’incremento della sicurezza e, in ultima analisi, per l’identificazione di nuovi modelli di business basati sulle opportunità evidenziate dagli insight. Tutto ciò è alla base, per esempio, del fenomeno Industria 4.0: grazie alle soluzioni smart applicate a supply chain e processi produttivi, si sta dando pian piano vita a ecosistemi in cui automazione e trasparenza contribuiscono in maniera decisiva all’aumento della produttività.

Quella dell’IoT non è una prospettiva futura, ma una realtà ormai consolidata, anche in Italia. Secondo l’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, nel 2017 il mercato tricolore ha generato un giro d’affari da 3,7 miliardi di euro, in aumento del 32% rispetto all’anno precedente. E proprio la componente legata ai servizi è pesata per 1,25 miliardi di euro, pari al 34% dell’intero fatturato. Significa che le aziende hanno già cominciato a costruire applicazioni a partire dall’analisi dei dati raccolti attraverso gli oggetti connessi. Naturalmente siamo solo all’inizio e ci sono ancora enormi margini di crescita, ma la rotta è tracciata. Seguirla significa per l’appunto distinguere vantaggi e rischi collegati allo sviluppo e all’adozione di un approccio che implica molto più di un semplice upgrade tecnologico. L’Internet of Things presuppone una vera e propria trasformazione culturale.

I vantaggi che offre l’Internet of Things, settore per settore

Ogni industry ha le proprie prerogative e si contraddistingue per una serie di esigenze peculiari che fino a poco tempo fa non trovavano adeguato riscontro in soluzioni standard. L’unica alternativa per i pionieri che volevano fare innovazione, spesso, era sviluppare in house con l’aiuto di system integrator specializzati prodotti e piattaforme customizzate efficaci nel breve termine ma spesso soggette a rapida obsolescenza. Grazie al Cloud, le architetture Internet of Things di nuova generazione sovvertono questo paradigma pur garantendo persino un maggior grado di personalizzazione delle soluzioni. Il merito è essenzialmente dell’Intelligenza artificiale, che a schemi fissi e omologati per settore o addirittura tarati sull’organizzazione sostituisce un modello flessibile basato sì sui fondamentali delle singole industry, ma di fatto in grado di adattarsi alle specifiche prerogative dell’impresa grazie all’autoapprendimento. Entrano in gioco categorie tecnologiche come Cognitive services e Machine learning, declinazioni delle piattaforme di Intelligenza artificiale che consentono alle macchine di riconoscere ricorrenze ed eccezioni nei dati (strutturati o meno) raccolti e analizzati e segnalarle agli amministratori di sistema. I quali, accedendo a dashboard dalle interfacce sempre più intuitive, possono verificare eventuali anomalie, identificare sacche di inefficienza e opportunità di crescita indirizzando in maniera corretta i processi per ottimizzare la filiera e gli output in funzione degli obiettivi impostati non tanto dai responsabili IT, quanto per l’appunto dai decisori di business.

Chiamare in causa tecnologie come Cognitive e Machine Learning rimanda immediatamente a chi ha maturato, e fin da tempi non sospetti, un’esperienza tale da essere diventato uno dei punti di riferimento del mercato globale sul fronte dell’intelligenza artificiale applicata al mondo degli oggetti connessi: sfruttando il patrimonio informativo sviluppato che IBM ha sviluppato nel corso degli anni lavorando a contatto coi propri clienti, la Watson IoT Platform è infatti in grado di trasformare i dati in valore in maniera specifica, calando su ciascuna industry dataset predefiniti che costituiscono un’ottima base per contestualizzare le applicazioni nel settore di riferimento, permettendo a chi le adotta di cominciare da subito a incrociare le analisi relative alle proprie performance con serie statistiche qualificate. Nello specifico, la Watson IoT Platform è già predisposta per le imprese attive nell’Automotive, nell’Elettronica, nell’Energy and utilities, nel Settore assicurativo, nel Manufacturing, nel Retail e nella Pubblica amministrazione.

In ogni settore si possono citare specifici vantaggi derivanti dall’adozione di una piattaforma IoT. Se le case automobilistiche possono monitorare l’usura delle parti meccaniche in base alle effettive sollecitazioni ricevute da ciascun veicolo e per determinati stili di guida, con la possibilità di attivare per i guidatori alert su eventuali malfunzionamenti o servizi ad hoc per migliorare le prestazioni del veicolo, in ambito Utilities connettere centraline e trasformatori può aiutare gli operatori a comprendere le dinamiche dei picchi energetici, prevedendoli ed evitando disservizi sulla rete. Applicando sensori ai macchinari e ai prodotti che escono dalle catene di montaggio e studiandone il comportamento nel mondo reale, nel settore manifatturiero è possibile generare dei “digital twin” degli oggetti fisici. Ovvero una simulazione digitale che ne riproduce le caratteristiche sul piano virtuale e che consente, per esempio, di trasporre le fasi di prototipazione e test tramite software, generando notevoli risparmi sia in termini di tempo sia di risorse da allocare per la ricerca e sviluppo.

Quali rischi comporta l’adozione dell’IoT e come mitigarli?

Si tratta come evidente di una trasformazione estremamente complessa da innescare e orchestrare, che oltre a innegabili vantaggi comporta anche una serie di sfide che se non opportunamente affrontate possono generare non poche criticità. La sfida forse più impegnativa riguarda la capacità di sviluppare in azienda la cultura del dato. La prima considerazione è che tutta l’organizzazione deve essere orientata agli output derivanti dalla raccolta, dall’analisi e dalla lettura dei dati. Inutile innervare gli oggetti di sensori e predisporre piattaforme di analytics se poi non si è disposti a dare la priorità a strategie e iniziative fondate sulle evidenze emerse attraverso l’Internet of Things. Il secondo aspetto ha a che fare con la data protection e con la privacy. Al di là del fatto che il patrimonio informativo sia destinato a diventare uno degli asset più preziosi dell’azienda, nel momento in cui gli oggetti entrano in contatto con le persone, i dati generati dalle interazioni tra uomo e macchina registrano e descrivono inevitabilmente anche i comportamenti di singoli individui. Il GDPR (General Data Protection Regulation) ha impresso un giro di vite alla disciplina sul trattamento dei dati personali: anche in questo caso occorre una nuova attenzione a una serie di temi fino a poco tempo fa del tutto trascurati, e soprattutto diventa necessario istituire misure, condotte e strumenti di sicurezza adeguati, tenendo presente che l’IoT comporta il presidio di perimetri in alcuni casi estremamente vasti, estesi quanto è esteso il network degli oggetti connessi: più punti di accesso ci sono, infatti, più alta è la probabilità che qualche attacco riesca a fare breccia.

Come accennato, bisogna poi imparare a gestire la complessità e orchestrare l’integrazione della propria rete con quelle dei partner e dei fornitori che hanno adottato sistemi analoghi. L’IoT esprime il massimo potenziale solo quando costituisce un ecosistema. La scelta degli standard e dei protocolli di comunicazione per far dialogare gli oggetti di realtà diverse va quindi fatta con grande oculatezza.

C’è infine il tema della connettività. Siamo di fronte a un cambiamento epocale: il 5G è destinato a stravolgere il modo in cui macchine e oggetti comunicano tra loro, ma al momento, anche se abbondano sperimentazioni e prove sul campo, è ancora una prospettiva. In Europa bisognerà attendere il 2020 per avere i primi servizi rivolti alle imprese e si tratterà comunque dell’inizio di un percorso, non di un punto d’arrivo. Nel frattempo bisogna trovare un compromesso tra piattaforme legacy, applicazioni immediatamente fruibili e soluzioni sperimentali pronte ad agganciarsi alle reti di nuova generazione.

Dovrebbe essere chiaro a questo punto che puntare sull’Internet of Things vuol dire prima di tutto accedere o dare vita a un ecosistema che faccia convergere competenze, culture e piattaforme digitali. È una scelta strategica, non un approccio tecnologico fine a se stesso, specialmente perché la tecnologia, oggi, rappresenta la componente forse più abbordabile dell’intero processo di trasformazione, grazie al Cloud e alla potenza di servizi come Cognitive e Machine learning messi a disposizione da player come IBM.

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