EY: ambiti applicativi e roadmap per l’industria 4.0 in Italia

Come affrontare la trasformazione digitale nelle imprese produttive e come indirizzare e costruire progetti di Industry 4.0 nelle esperienze e nelle opinioni di una serie di imprese di eccellenza

Pubblicato il 26 Set 2017

Enrico Terenzoni, MED Industrial Products Market Leader presso EY

Per le imprese che stanno valutando le opportunità dell’Industria 4.0 il primo grande obiettivo è quello di disegnare una roadmap, un percorso di sviluppo verso la digitalizzazione dei processi produttivi e di supply chain che sia coerente con la propria storia e con il proprio modello di business ma che permetta nello stesso tempo di sperimentare e individuare nuove linee di sviluppo. In questo senso appare fondamentale lavorare sulla conoscenza, sui mercato d riferimento, sui clienti e sui partner e sulle esperienze e visioni di altre imprese. Per EY il grande tema della conoscenza rappresenta il vero asset per affrontare un percorso Industria 4.0 e proprio per questo ha sviluppato incontri e workshop finalizzati a costruire uno specifico valore di conoscenza e di condivisione sui temi della trasformazione digitale finalizzata all’Industry 4.0.

Internet4things ha seguito il percorso di conoscenza di EY (leggi i servizi correlati a EY Capri Digital Summit) e ha voluto fissare l’attenzione sui temi specifici dell’approccio all’Industria 4.0 e della valutazione del contesto nel quale l’azienda è chiamata ad operare e nel quale si deve sviluppare un piano di trasformazione digitale che impatta sulla produzione, sulla supply chain e sull’opportunità di sviluppare nuovi modelli di business.

Indice degli argomenti

Industria 4.0: è venuto il momento di passare dalla teoria alla concretezza

Enrico Terenzoni, MED Industrial Products Market Leader presso EY

Enrico Terenzoni, MED Industrial Products Market Leader presso EY

L’Industria 4.0 in Italia è un fenomeno che sta iniziando a esprimere il suo grande potenziale e per le imprese è venuto il momento di uscire dalla teoria per muoversi verso la concretezza e per questo è importante definire delle roadmap chiare con delle linee guida altrettanto chiare che siano specifiche per ogni realtà imprenditoriale.
Innanzitutto, se si pensa che il digitale sia una scorciatoia per raggiungere quei livelli di efficienza, di efficacia, di sostenibilità dimenticandosi la vecchia scuola della operational excellence, ovvero dimenticandosi della necessità di fare pulizia nei propri cicli produttivi, nella propria organizzazione, si cade in un errore e si finisce per perdere una grossa parte del vantaggio di questo fenomeno.  Se si resta ancorati a questa convinzione si corre il rischio di “digitalizzare anche gli errori“, mentre la grande occasione della digital transformation sta proprio nella opportunità di rivedere e reinterpretare i processi.
Senza una forte cultura industriale, la sola digitalizzazione, la sola tecnologia non possono portare risultati, rischiano di essere un alibi che allontana la soluzione dei temi della competitività e dell’efficienza. Non si risolve solo con il digitale il problema della competitività. È assolutamente indispensabile un incrocio tra competenze analogiche e competenze digitali, tra capacità di visione dell’impresa e capacità di sviluppo in chiave digitale.


Questi temi e le grandi sfide legate all’innovazione e alla trasformazione digitale saranno al centro della prossima edizione di EY Capri Digital Summit.
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In secondo luogo, è importante riflettere sui dati: la digitalizzazione delle fabbriche si accompagna a un tema di raccolta dei dati, di centralità della conoscenza e di valorizzazione del patrimonio di dati e conoscenza che ciascuna impresa è in grado di esprimere. I dati sono un valore, un asset, un tesoro che le imprese devono saper mettere a valore.
Dobbiamo tener presente che già la trasformazione dei dati in KPI, la loro rappresentazione e diffusione di per sé rappresentano già un elemento rivoluzionario nel percorso di trasformazione. Già dalla capacità di rappresentare e clusterizzare i dati possono derivare input molto importanti per lo sviluppo delle imprese. Il digitale offre la possibilità di lavorare sui dati, sia in termini di analisi, sia in termini di azione eliminando, grazie al realtime, grazie agli analytics, qualsiasi forma di latenza.
Il vulnus però sta nel fatto che i dati andrebbero collegati al processo decisionale, cosa che ancora oggi non avviene. Non possiamo non rilevare la presenza di un vuoto tecnologico e metodologico importante che potrebbe trovare una risposta nella capacità di assumere un numero sempre più importante di decisioni proprio sulla base di una analisi in realtime dei dati e su una nuova capacità di visione di tutta la conoscenza aziendale. Con un approccio che deve progressivamente far evolvere l’azienda da una logica a silos verso una logica di reale integrazione.
È un cambiamento di approccio che dal punto di vista metodologico rappresenta una “rivoluzione” e che implica la capacità di semplificare l’accesso e l’analisi dei dati per prendere più decisioni.
La sfida sta tutta qui: nella capacità di raccogliere i dati, nella capacità di contestualizzarli in funzione di altre fonti (produzione, mercati, clienti, partner…), di distribuirli e condividerli, di collegarli ai processi decisionali per arrivare a una visione ancora più ampia che apre le porte a una nuova visione dell’azienda, una visione basata primariamente sulla conoscenza e che tocca da vicino – e si potrebbe dire dal di dentro – il modo stesso con cui i ciascun operatore si relaziona con l’impresa in tutte le modalità operative in tutti i processi che concorrono alla generazione del valore.

La Digital Transformation e l’Industria 4.0 sta cambiando il concetto di manufacturing

Giacomo Coppi, Sales Team Leader – IoT & Digital Supply Chain SAP

Giacomo Coppi, Sales Team Leader – IoT & Digital Supply Chain SAP

Dal punto di vista di SAP quando si affrontano i temi della digital transformation e più nello specifico dell’Industria 4.0 si devono sostanzialmente considerare tre grandi linee di tendenza.
In primo luogo, con la digital transformation sta cambiando drasticamente il modello di manufacturing: vediamo con grande attenzione e interesse un fenomeno di “reshoring” ovvero il ritorno in territorio europeo di ambiti manifatturieri che si erano spostati all’estero, anche perché grazie all’Industria 4.0 l’attenzione si sposta dalla produzione a basso costo alla qualità e alla personalizzazione.
Un altro grande fenomeno che osserviamo e che va di pari passo con un ritorno alla competitività delle industrie nei confini nazionali riguarda la crescita dell’automazione e della disponibilità di prodotti in grado di dialogare con il ciclo produttivo fin dal momento in cui sono disegnati. Questo permette alle imprese di rivedere non solo le logiche e i processi di produzione in termini di maggiore efficienza, ma consente di esplorare nuovi modelli di business a partire dalla logica del prodotto che può essere interpretato in forma di servizio.
Il terzo trend lo vediamo nel fatto che all’interno dell’azienda non si ragiona più per silos ma in modo integrato. I silos stanno “cadendo” anche nella visione dell’azienda verso l’esterno, nel rapporto con fornitori e con i  clienti, né si lavora per silos anche verso l’interno, con tutti gli attori che fanno parte della “coreografia” industriale.

Al di là dei trend, noi vediamo Industria 4.0 funzionare, anche grazie al Piano Calenda. Notiamo il passaggio dai PoC (Proof of Concept) ai progetti veri e propri: è chiaro, c’è una accelerazione, perché i tempi sono dettati dal Piano Nazionale industria 4.0 o Piano Calenda, nondimeno noi in questo momento vediamo una concentrazione degli investimenti. Tutto questo sta coinvolgendo l’intero Paese, non solo le fabbriche, ma anche le università, i centri di ricerca, e lascia ben sperare in un futuro nel quale i prodotti saranno più intelligenti, iperconnessi, più verdi e decisamente molto più personalizzati e più rispondenti a nuove modalità d’acquisto e di uso legate ad esempio alla servitizzazione o al pay per use.
Tra le tendenze è molto importante ritornare sul tema del reshoring, vale a dire il ritorno in Europa di produzioni un tempo delocalizzate che corrisponde non solo al ritorno di tutti i processi produttivi e della manodopera, ma che attiene anche allo sviluppo della cultura professionale del lavoro stesso, alla crescita in termini di competenze e di skill che accompagnano e devono sempre più accompagnare questi processi. Questo fenomeno è legato non solo allo spostamento di focus su una produzione di maggiore qualità e più personalizzata, ma anche e soprattutto alla capacità di sviluppare e far crescere talenti.
L’Italia è ancora riconosciuto come eccellenza tra i Paese manifatturieri, anche se purtroppo il nostro peso è diminuito rispetto al passato. Siamo comunque il secondo Paese in Europa, abbiamo una buona riconoscibilità e questo movimento verso l’Industria 4.0 rappresenta una grande occasione per recuperare il terreno perduto.  Una occasione che inizia già a mostrare i primi risultati positivi che devono essere incoraggiati e sviluppati.
Per quanto riguarda nello specifico SAP, l’azienda segue con grandissima attenzione tutto il fenomeno dell’Industria 4.0 e dei fenomeni che la abilitano come l’Internet of Things. SAP segue e supporta questi fenomeni sia con la la componente dei sistemi informativi sia con una strategia e una visione che punta a fornire un’unica visione delle tre componenti che afferiscono allo sviluppo dei sistemi informativi:

  • il gestionale che ha responsabilità della reportistica sulle transazioni
  • il sistema di intelligenza che raccoglie le informazioni che si possono ottenere con i sistemi IoT
  • i sistemi di differenziazione, che afferiscono maggiormente alla sfera del business, ad esempio nel demand planning

Nello specifico nell’Industria 4.0 ci sono attività che sviluppiamo con il brand SAP Leonardo. In questo caso l’obiettivo è creare un sistema di controllo dei processi di business, mettendo insieme le transazioni di un sistema informativo tradizionale con le tecnologie abilitanti dei nuovi scenari.

Quando si parla di tecnologie abilitanti non si fa riferimento solo a tecnologie di nuova generazione, ma a un utilizzo diverso di tecnologie che sono in campo da anni e forse da decenni. I MES ad esempio e tutti gli strumenti di telemetria non sono certo nuovi: è la connettività, la loro capacità di scambiare dati e informazioni che ne accresce la valenza e che permette di sviluppare nuove forme di produzione e nuovi prodotti. SAP Leonardo è una piattaforma basata su HANA che funziona su qualunque tipo di cloud, quindi anche sui cloud pubblici di Google, Microsoft Azure o AWS solo per citare degli esempi, sulla quale si costruisce uno strato di integrazione e sulla quale si costruiscono e si integrano servizi, anche quelli specifici per il mondo IoT.
Tramite Leonardo SAP fornisce il digital twin dell’impianto fisico e digitale, sia esso ad esempio un riduttore di potenza, una nave, un componente di una automobile, con la possibilità di prendere decisioni in tempo reale su quanto sta avvenendo gestendo tutte le possibili simulazioni di progetto e di evoluzione sulla “copia” in digitale.

Di fatto tramite Leonardo possiamo abilitare i cinque scenari tipici dell’IoT:

  1. Integrazione top floor to shop floor
  2. Integrazione Machine to machine
  3. Ecommerce integration
  4. Integrazione Machine cloud
  5. Direct replacement

Non si tratta più di collegare solo la fabbrica, bensì tutta la coreografia degli attori, non solo per chi già utilizza soluzioni e piattaforme SAP, ma con la possibilità di creare una comunità di informazioni legate ai dati, in una sorta di “Facebook degli asset” attraverso il quale sia possibile condividere le informazioni tra chi produce l’asset, chi lo manutiene e chi lo ha in uso.

In questo scenario si possono prefigurare contesti molto diversi tra loro, da quelli più immediati e indispensabili come analisi delle performance, l’energy monitoring, il realtime analytics, per poi salire verso scenari più complessi, con maggiore impatto sul business che prevedono l’integrazione dei processi, lo sviluppo di forme di automazione, il controllo in tempo reale dei KPI legati a tutti i fattori della produzione interni ed esterni all’azienda.

Non mancano certo i casi concreti e per SAP, solo per fare qualche esempio, si va da un’azienda come Kaeser Kompressoren, che ha cambiato il suo modello di business, passando dalla vendita di compressori alla vendita di metri cubi d’aria a una come Harley Davidson, che è riuscita a ottimizzare il ciclo di produzione di una motocicletta, su richiesta dei clienti, da 21 giorni a 6 ore.

Industria 4.0 come percorso che si integra con i progetti di Lean

Andrea Marconi, Industrial Strategy Project Manager at SCM GROUP SPA

Andrea Marconi, Industrial Strategy Project Manager at SCM GROUP SPA

Con SCM Group stiamo considerando l’esperienza di una impresa di eccellenza con un volume di affari compreso tra i 500 e i 600 milioni di fatturato l’anno.
Rispetto alle tematiche Industry 4.0 e digital transformation la società si definisce in cammino. Stiamo guadando il fiume dell’innovazione con una serie di operazioni come ad esempio il passaggio da un vecchio ERP a uno nuovo totalmente integrato.

La società ha colto l’occasione per implementare alcuni concetti di Industria 4.0, rivolti principalmente alla parte di operation approfittando di una serie di investimenti e progetti di trasformazione digitali già attivi. In particolare SCM è una azienda di montaggio, il suo focus è rivolto principalmente al processo produttivo, e ha pianificato di integrare i dati che arrivano dal MES con il nuovo ERP, così da disporre di dati più fruibili e di avere nello stesso tempo una reale e completa visione di insieme su tutti i processi produttivi e per tutti i dati che attengono ai prodotti.
Tutto questo però si accompagna a un processo di digital transformation, di trasformazione industriale che ha preso vita da tempo. La digitalizzazione non è una scorciatoia, per evitare processi LEAN, anzi, è un ulteriore livello di interventi che partono prima di tutto dalla possibilità di aumentare la conoscenza sui prodotti, sui processi e sull’organizzazione. Siamo fermamente convinti che prima di tutto bisogna aver fatto un percorso verso il LEAN e solo dopo arriva la digitalizzazione.

Per questo in SCM è stato avviato prima un processo di Lean Innovation per monitorare lo stato della produzione, utilizzando strumenti tradizionali, con una semplificazione delle attività produttive e con un aumento delle competenze e della conoscenza di tutti gli attori su tutti i processi. Il passo successivo è inglobare le informazioni e i dati in maniera più economica ed efficace: si pensa dunque all’utilizzo dell’Internet of Things nella forma di sensori, sia sulle macchine sia, nella forma di wearable, anche come forma di raccolta dati nel corredo degli operatori, allo scopo di effettuare operazioni di controllo e marcatura in modo automatico e aumentare le forme e le modalità per garantire la sicurezza sul lavoro.
Tutto questo SCM lo sta facendo al proprio interno con un percorso chiaro e con una roadmap di analisi e di implementazione del progetto. Il punto è che l’Industry 4.0 è un processo sia interno sia esterno ed è sull’esterno che occorre fare una riflessione importante. La società opera con una rete di fornitura e con fornitori e artigiani ancora ben lontani da questi processi. In qualche caso è la società stessa che porta i nuovi strumenti, come ad esempio il demand planning, nelle strutture dei suoi stessi fornitori.

Tornando alla digitalizzazione, SCM ribadisce il proprio impegno, ad esempio anche attraverso la digitalizzazione di una serie di documenti a supporto del processo produttivo, come liste di montaggio o check list. Si tratta di documenti cartacei, che implicano processi onerosi dal punto di vista della stampa o dell’aggiornamento con una gestione altrettanto onerosa in termini di redazione, stampa e update. Su questo stiamo lavorando per ottimizzare i processi di raccolta della consocenza e di distribuzione non più solo necessariamente in forma analogica.

E’ poi partito anche un progetto pilota per effettuare rilevazioni sulle macchine in esercizio per applicazioni di predictive maintenance, un passaggio essenziale nella propsettiva di aumentare il lavoro sui servizi.
La società sta guardando all’ Industria 4.0, con una serie di progetti pilota molto concreti e molto “misurabili” che hanno l’obiettivo di portare vantaggi reali e sostenibili nel tempo.

Il ruolo delle best practice per attuare l’Industria 4.0 nel manufacturing

Paolo Etzi, Ceo Denso

Paolo Etzi, Ceo Den

Per un’azienda come Denso, presente in 120 Paesi, l’Industry 4.0 è una sfida necessaria per far crescere competitività ed efficienza. Nella maggior parte dei paesi in cui è presente la società è chiamata a rispondere alle necessità del nuovo manufacturing, con un approccio che intende mettere a fattor comune e validare le best practice più efficiaci. L’azienda ha avviato un progetto che prevede la creazione di una una banca dati costantemente aggiornata su tutte le attività che vengono svolte nei singoli stabilimenti. In questo percorso l’Italia fa da capofila e rappresenta una vera eccellenza.
Una seconda sfida riguarda invece il collegamento con i clienti, che rappresentano un patrimonio di conoscenza enorme. In questo caso i dati ci sono già, bisogna riuscire a integrarli nel modo di produrre e di lavorare. Occorre cioè portare in produzione la conoscenza che da tenpo si è sviluppata sui clienti e sulle loro esigenze, sui loro feedback e metterli in relazioni con i prodotti. È questo forse l’aspetto chiave dell’industria 4.0, perché gran parte del patrimonio di informazioni e conoscenza era ed è già in casa, solo che era sottoutilizzato. I dati sono un asset e da lì bisogna partire.

Il processo in Denso è già partito, tanto che la società è già in grado di produrre imballi personalizzati per ciascun cliente esattamente nel momento in cui dall’IT arriva la notifica dell’acquisizione di un ordine.  Qui non siamo ancora in una logica di manufacturing vero e proprio, ma è un aspetto che tocca la filiera logistica.

Più vicino al mondo dell’Industria 4.0 è invece il concetto di produzione personalizzata, che spesso si scontra con le rigidezze tipiche dei sistemi di produzione tradizionali. In Denso si stanno sviluppando linee di produzione con stampanti 3D per produrre pezzi singoli, sovvertendo dunque le regole dominanti nei processi produttivi. Laddove prima ci si accordava con il cliente sulle proprietà intellettuali, con le stampanti 3D di fatto si crea un nuovo prodotto. Si aprono nuove tematiche che devono essere governate. Per questo riteniamo che l’Industry 4.0 sia anche e soprattutto un grande tema di governance e di organizzazione.
Per Denso il Piano Calenda sta fornendo un forte impulso a sviluppare una nuova concretezza per queste sperimentazioni.

L’Industria 4.0 come progetto strutturale con un chiaro percorso di digitalizzazione

Stefano Cassis, Chief Executive Officer OLSA Group

Stefano Cassis, Chief Executive Officer OLSA Group

Per Stefano Cassis, Amministratore Delegato di OLSA, la digitalizzazione o è una scelta aziendale, dunque pervasiva, oppure resta una scelta sospesa, ovvero rischia di rimanere un’etichetta di cui ci si fregia, ma che non corrisponde a un’azione reale.
Ci vuole una vera strategia verso la digitalizzazione e un vero piano di implementazione e questo vale non solo per il mondo del manufacturing, ma anche per gli altri comparti.
Nella sua visione il Piano Calenda ha poca forza e rischia di legarsi a fatti sporadici e non strutturali non tanto per il valore delle scelte proposte quanto per i limiti temporali cui è soggetto.
Per quanto riguarda poi il suo caso specifico, Cassis sottolinea come la sua azienda operi in un mercato internazionale, e anzi abbia gran parte della produzione fuori Italia: per questo la sua necessità è quella di finanziare l’azienda nel suo complesso, non solo per le attività attinenti il nostro Paese.
C’è poi un’altra criticità che Cassis evidenzia parlando di digitalizzazione. Olsa lavora nel mondo delle plastiche e proprio il processo produttivo nel mercato in cui opera la società si basa su una quantità di dati importanti, che ben si sposerebbero con le logiche Big data e Industria 4.0: presse, temperature, pressioni, comportamento dei materiali e comportamento degli strumenti di produzione. Se si estrapolassero i dati lungo tutto il ciclo di vita di ciascuna pressa, si avrebbero analisi importanti, che potrebbero aiutare a capirne il funzionamento, i problemi, le criticità, le possibili ottimizzazioni. Nei suoi stabilimenti, la società ha presse di almeno cinque produttori diversi ciascuna con una logica produttiva e di gestione dei dati di tipo proprietario, tanto che è impossibile avere una visione comune per i dati, perché ciascun costruttore li tiene stretti e non li condivide. L’azienda ha provato a eseguire il processo manualmente, gestendo in modo manuale i dati da ciascuna macchina, ma si tratta di un processo costoso che non porta ai risultati necessari per avviare una vera e propria azione Industry 4.0.

Occorre considerare che c’è una base esistente non industriale che ancora deve essere integrata. Certo, i Big data servono, ma i Big data bisogna averli, è necessario disporre dei dati essenziali in modo semplice. Noi siamo da tempo in un mondo in cui abbiamo macchine che non parlano. Se riuscissimo a capire meglio come le macchine si comportano avremmo tante informazioni e tante opportunità in più. Quando si dice che l’asset delle imprese è e sarà nei dati è verissimo, la produzione ha bisogno di questa conoscenza, ma c’è bisogno di definire degli standard e dei modelli di relazione e di comportamento che permettano alle imprese di avere realmente accesso ai propri dati. Per certi aspetti anche a dati che sono paradossalmente già presenti in azienda, ma che non sono accessibili per ragioni strutturali.

Dalla Lean all’Industria 4.0

Silvestro Carlucci, Manufacturing Engineering Group Coordinator presso Comer Industries

Silvestro Carlucci, Manufacturing Engineering Group Coordinator presso Comer Industries

Per Comer il percorso di digitalizzazione è stato prima di tutto preceduto da un percorso verso il LEAN manufacturing, applicato al mondo dell’automotive. Su questo percorso si è poi deciso di innestare la digital transformation e la progettualità verso Industria 4.0. Il tutto ancor prima che si parlasse di Piano Nazionale Industria 4.0 e che il Piano Calenda fosse varato.

Essenzialmente Comer si muove su tre asset: hardware, software e skill.  In primo luogo con il progetto di LEAN Manufacturing Comer si è posta da una decina d’anni l’obiettivo di snellire i processi.  Complice la dimensione aziendale (Comer ha un giro d’affari tra i 400 e 500 milioni di euro), su questo percorso ne ha innestato un altro che guarda all’automazione e alla robotica, non solo in termini di hardware, ma anche di software, in una logica di integrazione, ad esempio con PLM e MES.
Ed è qui che entra in gioco il terzo asset: per massimizzare l’effetto degli investimenti fatti sull’hardware e sul software è importante fare tanta formazione. Per questo è iniziato un processo di crescita delle competenze interne, di sviluppo della conoscenza e di crescita dell’attenzione verso i dati e le informazioni generate dall’azienda.
In relazione al Piano Calenda, Carlucci percepisce una sorta di scollamento tra la parte hardware e la digitalizzazione: non sembrano andare di pari passo. Non c’è integrazione tra tutti questi asset. Il tema non è l’automazione, ma far lavorare insieme le macchine, metterle in grado di interagire e preparare le persone alla gestione di questi processi. E occorre far lavorare correttamente e in modo logico con questa prospettiva anche le persone, che hanno bisogno di riqualificazione, di nuove competenze, di entrare in un percorso di crescita delle competenze.
Un altro grande punto critico per il Piano nazionale Industria 4.0, secondo Carlucci, sta nella difficoltà di dimostrare con chiarezza i payback di questo tipo di investimenti. Al netto dei temi legati all’incentivazione del Piano Calenda, le imprese hanno la necessità di KPI precisi per misurare concretamente i risultati di questo tipo di investimenti.

Integrazione tra IoT, Big data, 3D Printing come componenti dell’industria 4.0

Enrico Ravagnani, Plant Manager presso P.Beretta

Enrico Ravagnani, Plant Manager presso P.Beretta

Per Enrico Gravagnani, direttore di stabilimento presso Beretta, l’approccio dell’Italia al tema Industria 4.0 è meno sistemico rispetto a quello che si registra ad esempio in Germania. Si corre il rischio di non avere abbastanza pragmatismo, mentre in Germania il Piano è stato lanciato come Piano Nazionale con una valenza strutturale grazie anche a un fortissimo sostegno di tipo politico. Non si tratta tanto di discutere la validità del Piano Calenda in sè, ma della modalità con cui si affronta la tematica. In Germania se c’è una esigenza la si affronta senza bisogno di piattaforme particolari, mentre da noi ci si muove diversamente, per cui da un lato c’è chi interpreta il Piano come una mera opportunità di finanziamento, e dall’altra c’è che ne prende spunto per una strategia di miglioramento. Occorre fare un salto che consideri l’evoluzione e l’impegno di tutte le aziende anche in termini di infrastrutture comuni, di relazioni con tutti gli attori della filiera. Beretta sta cercando di muoversi sul secondo fronte, cerchiamo di cogliere il secondo aspetto, in particolare per rispondere alle nuove richieste del mercato, che sempre più spesso richiede maggiori flessibilità e maggiore personalizzazione dei prodotti.
È chiaro che qui si parla di complessità crescenti, che hanno bisogno di un supporto tecnologico per essere affrontate e sostenute. E il tema sempre più spesso riguarda proprio le tecnologie. Per Gravagnani ci sono tecnologie già in campo, ad esempio l’utilizzo dell’RFID per la gestione logistica. Altre sono ancora distanti dalla visione di Beretta. Ad esempio, qualche perplessità il manager la esprime rispetto alla possibilità di misurare il ritorno dell’investimento in progetti come l’utilizzo dell’IoT in una logica di manutenzione predittiva: Quando mi si chiede di raccogliere dati per qualche mese o qualche anno, per poi trarne modelli, faccio fatica a pensare a come misurare il payback di questo tipo di iniziative.

Invece per quanto riguarda tecnologie come il 3D Printing sono già in uso per lo sviluppo di nuovi prodotti con evidenti benefici in termini di riduzione dei costi e del time to market: Siamo riusciti a rispondere alle esigenze dei clienti in tempi rapidissimi grazie alla manifattura additiva, soprattutto per quanto riguarda le fasi di prototipazione.

Beretta sta poi affrontando anche il tema della trasformazione dei sistemi informativi, sia per quanto riguarda l’ERP, sia per quanto attiene la sua integrazione con il MES. Il problema è che ci sono pochi standard per far dialogare in maniera costruttiva i diversi sistemi. Non c’è ancora una logica plug & play e forse questo è un aspetto sul quale c’è ancora da lavorare.
L’ultimo aspetto che va preso in esame è quello delle risorse umane. Al proprio interno, Beretta ha cercato di capire il posizionamento del proprio personale per quanto attiene i digital skill e sugli asset digitali.  Il risultato è che abbiamo riscontrato un livello molto alto per quanto attiene gli skill digitali, mentre il posizionamento è piuttosto basso quando si tratta di lavorare sui mindset e sulle modalità con le quali impostare una tecnologia digitale. Certamente l’Industria 4.0 impone alle aziende di impostare una strategia di formazione in grado di far crescere delle vere competenze, non solo sotto il profilo strettamente tecnologico, ma nella gestione dei dati e nella loro valorizzazione.

Industria 4.0 come grande tema culturale e come prospettiva del paese

Layla Pavone, Amministratore Delegato – Industry Innovation at Digital Magics

Layla Pavone, Amministratore Delegato – Industry Innovation at Digital Magics

Come Paese credo che scontiamo una latenza dal punto di vista del mindset, della cultura, della capacità di capire che quando parliamo di Industria 4.0 stiamo parlando di una vera e propria rivoluzione che va a impattare su tutta la supply chain delle aziende. Stiamo parlando della digitalizzazione che entra negli stabilimenti, nelle linee di produzione, nella logistica degli impianti.
Dal suo osservatorio, Digital Magics sottolinea come il Piano Calenda sia stato colto nella sua portata e nella sua importanza soprattutto dalle grandi aziende, che in effetti ne hanno approfittato per affrontare un cambiamento che era ormai inevitabile ed ineludibile e che può portare grandi vantaggi.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese, il rischio è che perdano un treno importantissimo, a meno che non ci siano altre imprese più grandi che vogliano prendersi la responsabilità di formarle, di portarle a bordo.  A meno che, ancora, non si sviluppi un piano di “filera e di filiere“, ovvero aziende che abbiano voglia di lavorare con i loro supplier, inserendoli nel loro percorso di innovazione, per attuare un Piano Nazionale Industria 4.0 che sia effettivamente oltre la singola impresa.
Pavone lamenta che a parte il Piano Calenda, non esista in Italia un vero piano di politica industriale più strutturato e aggressivo dal punto di vista degli incentivi. Il grande tema ancora una volta è quello delle competenze e della formazione.
In campo non ci deve essere solo il MISE, ma anche il MIUR: i ministeri devono parlarsi, perché se è vero che devono cadere i silos, di contaminazione, di integrazione, di competenze, sia hard, sia soft, si deve andare verso softskill, e tutto deve essere ricondotto anche a livelli più alti, vale a dire a quelli della politica.

Serve che i tre ministeri, quello del lavoro, quello dello sviluppo economico e quello dell’Istruzione, Università e Ricerca trovino un accordo sui piani utili al supporto della digitalizzazione e della formazione. Solo in questo modo l’Industria 4.0 può arrivare concretamente anche nelle piccole e medie imprese e può portare quei vantaggi sulla competitività e sull’innovazione che il Made in Italy più di altre economia è in grado di sfruttare.

Il Piano Nazionale Industria 4.0 e il Fattore Tempo

Giorgio Mosca, Director Competitive Analysis, Strategy and Technologies at Security & Information Systems Division in Leonardo

Giorgio Mosca, Director Competitive Analysis, Strategy and Technologies at Security & Information Systems Division in Leonardo

l Piano Nazionale Industria 4.0 e il Fattore Tempo

Giorgio Mosca, Director Competitive Analysis, Strategy and Technologies at Security & Information Systems Division in Leonardo

Il Piano Calenda è sicuramente una iniziativa positiva, come non si vedeva da anni, con una visione sul digitale che porta in Italia una ventata di innovazione pur con qualche criticità. La decisione del governo di prolungare gli incentivi di Industria 4.0 nel nuovo piano Impresa 4.0 è sicuramente positiva perché l’orizzonte di un anno sarebbe stato incompatibile con la normale gestione di una evoluzione industriale, anche se un prolungamento di un solo anno è comunque rischioso. Nessuno è in grado di fare una vera trasformazione digitale in tempi così limitati. E non è una questione di dimensioni o di tipologia di aziende è una questione quasi “fisiologica“. Anche Confindustria sta ripetendo da tempo che  bisogna ragionare su un arco temporale di almeno cinque anni. Il quinquennio è l’arco temporale sul quale si lavora nel mondo fisico, ed è il tempo che permette alle organizzazioni di rinnovarsi realmente, di fare proprie non solo le  tecnologie, ma anche le competenze, la formazione e la capacità di gestione di processi innovativi.

Un secondo aspetto è la copertura del Piano, che è vero prevede iperammoramenti e superammortamenti per le macchine e per i software, ma non ha preso in considerazione i servizi. Non si può non tenere in considerazione i servizi nella trasformazione digitale poiché ne sono una parte fondamentale, soprattutto se si vogliono ottenere risultati in tempi brevi. Bisogna rendersi conto che in tempi limitati e senza servizi, la trasformazione digitale non si fa.  Certamente si mettono in moto dei processi e questo è molto importante e va dato merito a tutti coloro che hanno lavorato sul tema di aver avviato un importante percorso, tuttavia rischia di essere un percorso che non ha una vera prospettiva se non si estendono i tempi di sviluppo del Piano.

Ma cosa serve per intraprendere un percorso nazionale verso Industria 4.0? Serve la consapevolezza che il digitale non è una scorciatoia, e che dunque si porta dietro la necessità di innovazione di tutta l’azienda. Serve un allineamento tra i diversi ministeri, in particolare tra MIUR e MISE, su molti temi, a partire dal trasferimento tecnologico tra università, centri di ricerca e industria. E’ necessario mettere in atto una politica educativa che sappia portare in azienda i nuovi skill necessari per gestire le trasformazioni che l’Industria 4.0 comporta.

Il lato positivo è che c’è grande interesse per l’argomento. Le aziende stesse sembrano finalmente desiderose di capire di cosa si tratta, come muoversi, cosa sta accadendo. Il tema ha avuto un impatto mediatico molto forte e questo ha consentito di avvicinare ai processi di digitalizzazione e di trasformazione digitale anche quelle imprese che per dimensione e tipologia di business sembravano distanti e incapaci di affrontare la sfida.
Il problema è che la nostra catena produttiva nazionale è lunga ed è fatta di tante piccole realtà. Per questo trascinare e trainare l’intera filiera è difficile, soprattutto è difficile portare tutte le competenze all’interno di ciascuna azienda in modo coordinato coinvolgendo tutti gli attori, evitando strappi, fughe in avanti o ritardi. E in ogni caso anche pensando di allungare la filiera digitale, bisogna essere certi di farlo in maniera sicura, tutelando l’intellectual property, i dati e le informazioni, altrimenti i rischi superano i benefici.

Dal punto di vista di Leonardo, i temi di  maggiore interesse sono quelli legati alla servitizzazione, dunque tutti i nuovi modelli as a service, la possibilità di integrare in modo diverso la catena del valore e le implicazioni di sicurezza che questa integrazione porta con sé.

Questo aspetto interessa Leonardo in modo particolare, pur essendo sicuramente generale, ma ancor più universale è il tema del nuovo approccio ai dati. Tutte le imprese che vorranno adottare soluzioni innovative di trasformazione digitale dovranno interpretare moltissimi nuovi dati ed è qui che potrebbero sorgere le criticità. Tutti avremo bisogno di ricorrere anche all’Intelligenza Artificiale per l’analisi delle informazioni e già oggi si lamenta una chiara mancanza di  data scientist per l’interpretazione dei contenuti. Avremo dunque bisogno di strumenti diversi e per certi aspetti più automatizzabili, senza i quali rischiamo di fermarci. Perché il problema è il gap che si crea tra la quantità di dati disponibili e un processo decisionale che è nato analogico e che per il momento non è stato affrontato con una governance e con un piano di azione e di formazione adeguati.

Dall’artigianato puro all’Industria 4.0

Daniele Francesco Ali, Chief Information Security Officer & Deputy Chief Information Officer at Fincantieri S.p.A.

Daniele Francesco Ali, Chief Information Security Officer & Deputy Chief Information Officer at Fincantieri

A dispetto di quanto possa sembrare, Fincantieri è una realtà che si basa ancora molto sull’artigianato puro. Di fatto il cantiere prende lamiere e produce scatole, di grandissime dimensioni e di enormi complessità, ma in definitiva c’è un grande lavoro di che si può definire di artigianato di altissimo livello.
Per capire l’impatto di industria 4.0 su Fincantieri bisogna comprenderne la realtà, che è fatta di fornitori esterni (il 70 per cento di una nave è di fatto prodotta con contributi esterni all’azienda), ma è fatta anche di moltissime complessità: si parla di produrre navi dal valore di un miliardo di euro che pesano 160.000 tonnellate. Se si sbaglia la produzione, si pagano conseguenze enormi. Per questo i dati, l’analisi, la digitalizzazione sono assolutamente fondamentali, sia come elementi di base delle logiche di produzione sia, sempre più spesso, come componenti stessi della produzione e del servizio che le navi devono erogare.

Fincantieri si trova da tre anni a questa parte a una importante crescita del business, dopo gli anni della crisi, il mercato della cantieristica è tornato a crescere con la doppia sfida di rispondere agli ordini garantendo il margine agli azionisti. Già una quindicina di anni fa, Fincantieri si era posta il problema dell’industrializzazione dei processi, con l’adozione di SAP: in quegli anni questa scelta ha rappresentato un vantaggio competitivo innegabile, senza il quale forse l’azienda non sarebbe riuscita a resistere alle pressioni successive del mercato.  Tuttavia, le tante personalizzazioni cui è stato sottoposto il SAP negli anni hanno creato alcune rigidità alle quali oggi bisogna porre rimedio, soprattutto ora che ci si sta muovendo verso Industria 4.0.
Oggi la digitalizzazione e il tema Industria 4.0 vengono affrontati lungo alcuni filoni chiave, che partono dal consolidamento del processo di ingegneria e produzione navale: in questo caso si cerca di lavorare quanto possibile sulla modellizzazione 3D per evidenziare subito le criticità, così da evitare interventi di modifica in produzione. Il digitale è entrato pesantemente sia nella fase di progettazione sia in quella di produzione. I supervisori sono stati dotati di tablet e di sistemi di realtà aumentata, così che possano vedere le eventuali interferenze proprio in fase di progettazione.
Un secondo aspetto molto importante anche dal punto di vista culturale e della sfida, in prospettiva per una vera Industria 4.0 e sul quale si sta intervenendo è il superamento del digital divide di cantiere. Dunque con un rafforzamento infrastrutturale che prevede l’introduzione di Wi-Fi sicuri e affidabili a livello di cantiere come infrastruttura per gestire i progetti e dunque la produzione, ma anche la sicurezza sul lavoro.
Il terzo e ultimo aspetto riguarda la cybersecurity. In Fincantieri portiamo a bordo di ciascuna nave moltissimi oggetti che devono essere collegati a Internet. Per questo abbiamo ritenuto necessario rafforzare la cybersecurity e porre particolare attenzione sia alle nuove minacce, sia alla affidabilità delle tecnologie.

Industria 4.0: la grande sfida è nei dati e nei Big data

Gianluigi Viscardi, CEO Cosberg, Comitato piccola industria Confindustria

Gianluigi Viscardi, CEO Cosberg, Comitato piccola industria confindustria

Gianluigi Viscardi tiene a richiamare la massima attenzione sulle esigenze concrete delle imprese e del mercato e sulla coerenza tra le prospettive che arrivano dal Piano Nazionale Industria 4.0. Da questo punto di vista Viscardi osserva che il Piano Industria 4.0, rischia di essere penalizzante per quelle realtà che sono presenti in modo rilevante all’estero e che di fatto possono godere solo in parte dei vantaggi previsti dal progetto avviato dal Ministero di Calenda.
Le aziende sono oggi ancora impreparate a gestire variabili, imprevisti, perdite di competenze: bisognerebbe pensare – provocatoriamente – a delle aziende che si guidano da sole.  Così come nel mercato automobilistico le macchine hanno cominciato a gestire gli imprevisti, codificandoli e trovando le soluzioni, così anche nelle aziende si deve arrivare allo stesso processo. Nelle aziende occorre capire gli imprevisti, codificarli, impararli, studiarli, analizzarli e codificarne la soluzione per definire delle azioni che possono essere automatizzate. Bisogna registrare le conoscenze, concentrarsi sui dati, sul valore delle informazioni che ogni giorno vengono prodotte. Occorre alzare il livello della sfida: bisogna preparare l’azienda per essere venduta per poi non venderla mai. Occorre anche cambiare le gerarchie in azienda. La grande sfida è nei dati. Le aziende producono un enorme quantità di dati, ma in tantissimi, troppi casi, nemmeno lo sanno, non ne sono consapevoli e non sanno sfruttare un valore che rischia di diventare obsoleto.

Nel suo ruolo di Presidente piccole e medie imprese Confindustria Lombardia, Viscardi racconta di come il cluster stia lavorando sulla trasformazione Industria 4.0. Il Piano ha un limite anche nella durata. Ci vogliono almeno 5 anni per prendere un’azienda e completare la trasformazione digitale: bisogna saper far crescere i fornitori, dare una spinta e sostenere la ricerca. C’è un gran lavoro da fare, perché deve crescere la consapevolezza su tanti argomenti e su questo Confindustria Digitale si sta impegnado anche a livello di costruzione di percorsi di formazione.

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