Schneider Point of View

Standardizzazione, sicurezza, visibilità: i tre pilastri della nuova business continuity secondo Schneider Electric

A colloquio con Roberto Rumi e Stefano Sabbatini: dalla business continuity elettrica alla business continuity del dato

Pubblicato il 17 Set 2020

Business continuity

“I mesi appena trascorsi hanno messo in evidenza un deciso cambio di paradigma, rispetto al quale non è pensabile tornare indietro. Abbiamo sempre associato la business continuity, la continuità operativa, a un concetto elettrico: non c’è corrente, si spengono i server, non è più possibile erogare servizi. Oggi si associa un tassello in più: business continuity significa anche continuità di dati. Se una organizzazione perde i dati che le consentono di prendere decisioni, va in crash, esattamente come avviene con un server non alimentato. Se non è possibile avere accesso a tutte le fonti di informazioni che supportano i processi decisionali, le imprese si trovano nella stessa condizione di incertezza e di immobilità di quando si è privi di alimentazione elettrica. Il dato diventa importante come la corrente elettrica. Questo significa aver alzato l’asticella e le aspettative: da un lato si deve garantire che i sistemi siano alimentati, raffrescati e funzionanti e nel contempo si deve garantire la continuità dei dati che servono in una economia data driven”.
Con queste parole Roberto Rumi, Senior Software Sales Manager di Schneider Electric, spiega l’importante cambiamento non tecnologico ma di pensiero su una continuità operativa che non può e non deve più poggiarsi esclusivamente su batterie tampone che garantiscano una continuità elettrica, ma su infrastrutture in grado di garantire il flusso dei dati necessario ad alimentare il flusso dei processi.
Ed è da questo cambiamento che nasce un nuovo approccio alla business continuity, al quale molte imprese hanno compreso di doversi avvicinare e che Stefano Sabbatini, Business Developer Edge Computing, sintetizza in ciò che definisce “I tre pilastri fondamentali, o forse i tre imperativi, della nuova continuità operativa: standardizzazione e ridondanza, sicurezza, visibilità”.

La standardizzazione & ridondanza

Il primo pilastro su cui poggia la nuova continuità operativa, nella visione di Schneider Electric, è rappresentato da due parole chiave: standardizzazione e ridondanza.
“In sostanza – spiega Sabbatini – significa utilizzare soluzioni standardizzate e ridondanti. Standardizzate per agevolare un rapido deployment delle infrastrutture, a volte distribuite, con la garanzia che non ci siano difficoltà in termini di conoscenza o esperienza. Ridondanti perché devono poter garantire l’operatività anche in caso di guasto assicurando l’affidabilità necessaria ed elevati livelli di servizio, ”.

La sicurezza

“Un nostro ambito specifico – spiega Roberto Rumi – è rappresentato dalla sicurezza fisica e il controllo degli accessi del personale, che sono elementi fondamentali per garantire la massima disponibilità dei dati”.
Nella accezione dell’ambito coperto da Schneider, dunque, sicurezza fisica vuol dire avere pieno controllo degli accessi ai siti, avere la garanzia che in certi luoghi possano accedere fisicamente solo alcune persone ben profilate. “Questo controllo garantisce che tutti i siti, presidiati o meno che siano, funzionino in maniera sicura”.

La visibilità

Il terzo pilastro di questa nuova visione della business continuity è rappresentato dalla visibilità, dal monitoraggio ed è qui che sono intervenuti i cambiamenti più importanti, soprattutto in termini di strategia.
“Nei mesi scorsi – racconta Rumi -, si è posto il problema di dover mantenere operative strutture che in condizioni normali prevedevano la presenza di persone nelle varie sedi o siti e che quotidianamente, con il proprio lavoro permettevano l’erogazione di servizi e attività”.
Improvvisamente, le aziende si sono trovate a dover risolvere un problema non da poco: le persone non potevano recarsi fisicamente sui luoghi di lavoro, ma le operation dovevano proseguire, continuando a erogare servizi.
Era nato il “new need”: disporre di sistemi e infrastrutture che garantiscano visibilità sui sistemi – e dunque operatività – senza la presenza fisica delle persone.
“Perché se io vedo cosa accade, non ho bisogno di avere una persona che ispeziona gli impianti o gli armadi rack dei sistemi, ma sono in grado di garantire i servizi a prescindere”.

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Visibilità, il “new need” della business continuity

È questo l’altro grande cambio di paradigma.
“Le imprese che non avevano previsto l’eventualità di uno stop, e che dunque non avevano previsto la necessità del monitoraggio autonomo, hanno avuto problemi e disservizi”, spiega Stefano Sabbatini.
Molte – probabilmente troppe – imprese erano ancorate a processi tradizionali: nel momento in cui c’è un problema si manda il tecnico sul posto.
“Nella situazione in cui ci si è trovati, erano possibili tutti gli scenari, compreso il fatto di non accorgersi nemmeno dell’insorgenza del problema o di non comprenderne la natura. Tante volte, in passato, ci siamo confrontati con clienti convinti di non aver bisogno della visibilità sui sistemi, perché avevano uno staff tecnico da far intervenire in caso di bisogno. Non era una questione di impreparazione, ma di vera e propria scelta”.
Le aziende resilienti – interviene Roberto Rumi – si sono rivelate essere proprio quelle realtà che avevano già digitalizzato i processi, rendendo digitali tutte le grandezze e le variabili di processo che definivano la complessità della loro organizzazione. Quelle aziende che si erano dotate di strumenti di intelligenza, analytics e algoritmi che aprivano loro una finestra su un mondo che non riuscivano più a vedere fisicamente”.
La chiave, dunque, sta tutta qui: nella digitalizzazione, nell’integrazione delle variabili fisiche, meccaniche e di processo con l’IT e nell’aver adottato strumenti intelligenti che guidino e accompagnino il processo decisionale.
Visibilità, dunque, nella accezione di Schneider Electric si traduce in un monitoraggio in tempo reale che consente di capire come i dispositivi stanno funzionando, segnalando eventuali guasti, ma anche in un monitoraggio di tipo predittivo, che segnala con il giusto anticipo le condizioni problematiche che potrebbero in futuro compromettere l’operatività del sistema.

La visione di Schneider Electric

Concretamente, tutto questo per Schneider Electric si traduce nello sviluppo di infrastrutture che a fronte di un blocco totale consentono un controllo in tempo reale.
Infrastrutture basate su soluzioni standardizzate e ridondate, che devono garantire la non interruzione del servizio a fronte di un guasto, con un approccio a 360° sulla sicurezza, dunque con una protezione continua rispetto a problemi di attacchi, monitoraggio ambientale, intrusioni, e che consentano di controllare in ogni momento operatività, performance, integrità.
È un cambio paradigmatico non da poco, ribadisce Rumi: “Se prima c’erano sempre persone fisiche che avevano in mano certi pezzi di un processo che richiedeva necessariamente la loro presenza sul sito, per la prima volta ci si è domandati: sono in grado di tenere in piedi l’intero processo anche senza la presenza delle persone?”.
Non è un caso che nella fase dell’emergenza sono rimaste operative tutte quelle realtà che sono riuscite restare operative senza aver bisogno della presenza fisica delle persone addette alla gestione di un processo.
“A dirlo può sembrare una banalità, ma è un percorso non semplice dal punto di vista culturale e che ha dei risvolti di complessità tecnologica non trascurabili”.
E questo in qualunque settore industriale o commerciale.
“Quando ti dicono vai a casa e lavora di lì, significa che da casa devi riuscire a fare tutto quello che andavi a fare nei singoli siti. Pensiamo al mondo del retail, dove ci sono realtà con decine e decine di store tutti distribuiti geograficamente e con team non coordinati tra loro. Nel momento in cui ci si dota di una infrastruttura di un certo tipo, allora sì che si riesce a coordinare le singole attività senza prevedere la presenza fisica”.

I “mai più senza” della business continuity

Secondo Rumi e Sabbatini possiamo dunque sintetizzare le lesson learned dei mesi trascorsi nei tre pilastri della business continuity: standardizzazione e ridondanza, sicurezza, visibilità, ovvero capacità di garantire monitoraggio e gestione.
Ma sono lezioni davvero apprese?
“Non possiamo pensare che il mondo di prima non tornerà. Ciò che è successo e i cui effetti si sentiranno a lungo è l’accelerazione. Si sono velocizzati tutti quei processi mentali che portano alla digitalizzazione. Non tutto sarà da remoto, non tutto sarà digitale, ma l’accelerazione è stata straordinaria. È questa la grande opportunità dalla quale le aziende devono partire”.

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