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Innovazione e regolamentazione: un equilibrio delicato – Intervista al presidente Agcom Corrado Calabrò

Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, risponde alle domande di Umberto Bertelè, presidente della School of Management del Politecnico di Milano, su confini d’intervento, iniziative recenti e obiettivi per il futuro dell’ente regolatore delle Tlc italiane

Pubblicato il 01 Giu 2008

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Presidente Calabrò, vorrei fare una premessa al nostro colloquio. L’Authority da lei presieduta ha un ruolo da svolgere di estrema delicatezza, per diverse ragioni. In primo luogo, deve regolare un comparto in sommovimento continuo, non solo per le tecnologie che cambiano, ma per le conseguenze che ne derivano in termini di nuovi servizi, nuovi stili di vita e nuovi attori, locali o mondiali: con il dilemma se lasciare “briglia sciolta” al sistema o se regolamentarlo da subito, evitando così eccessive concentrazioni di potere, ma rischiando di ostacolarne o impedirne lo sviluppo.

Inoltre, l’Authority deve conciliare l’interesse immediato degli utenti di poter accedere ai servizi alle migliori condizioni economiche con l’interesse di medio-lungo periodo della collettività di disporre di infrastrutture competitive, finanziate solo se redditizie: soppesando opportunamente il livello di concorrenza e il livello dei prezzi. Infine, l’Authority deve guardare alla situazione specifica del nostro Paese, ma evitare che regole “troppo diverse” diano vantaggi impropri alle imprese transnazionali che hanno le loro attività prevalenti in altri paesi. Nelle domande che le sottoporrò cercherò di avere bene in mente questa promessa, che spiega anche come certi indirizzi si modifichino nel tempo al prevalere di determinate esigenze rispetto ad altre.

L’Agcom è un’Authority ben nota oramai al pubblico. Non altrettanto noti, al di fuori del mondo degli specialisti, sembrano essere i suoi confini di azione. E mi sembra che la mancanza di chiarezza sia aumentata in occasione di interventi legislativi quale quello sulle ricariche telefoniche, che apparivano di stretta competenza Agcom, e in occasione di alcune prese di posizione dell’Antitrust. Ci vuole sintetizzare, Presidente, il suo punto di vista su questa tematica estremamente delicata dal punto di vista istituzionale?

Mi faccia dire innanzitutto che sono pienamente d’accordo con le sue premesse iniziali. Le comunicazioni sono un settore in continuo divenire con un impeto di innovazione e crescita che non ha eguali. Nel 1977 la prima connessione commerciale in fibra ottica era di 6 Mbps e richiedeva due fibre, una per ogni direzione di comunicazione. In trent’anni queste velocità sono aumentate di un milione di volte, raggiungendo i 6.400 Gigabit sulla coppia. Da 6 a 6 milioni in 30 anni, vuol dire una rivoluzione continua. Ma ciò non è solo il risultato delle “briglie sciolte”. Un recente documento della Commissione europea ha evidenziato come il processo di liberalizzazione regolamentata del mercato abbia determinato in Europa più, e non meno, investimenti. La regolamentazione, se avveduta, implica più concorrenza, minori prezzi per i consumatori e maggiori investimenti degli operatori.

Da questo punto di vista, venendo alla sua domanda, ho l’impressione che ciò su cui spesso c’è confusione non siano tanto i settori su cui l’Agcom ha competenza, quanto piuttosto i confini, le modalità e gli obiettivi dei nostri interventi. I nostri interventi si fondano sul diritto comunitario, che è a garanzia di tutti, consumatori ed operatori, e sono caratterizzati da sofisticate metodologie di analisi e di valutazioni dei costi e dei benefici. Viceversa, l’intervento legislativo con decretazione d’urgenza è immediato, può suscitare nell’immediato più consensi, ma per sua natura rischia di essere poco approfondito nell’analisi e quindi sommario nel suo obiettivo e incerto nei suoi risultati finali: è un colpo d’ascia anziché un lavoro di bisturi. Si pone, come tale, fuori delle best practice affinate in seno all’ERG (il Gruppo dei Regolatori europei) in base all’esperienza. È inoltre poco modificabile nel tempo, mentre la dinamica accentuata del settore richiede un adeguamento continuo. Deve restare dunque l’eccezione mentre la regola è e deve essere il modo di agire modulato dall’Autorità. Con l’Antitrust v’è un po’ di sovrapposizione ai confini delle rispettive competenze, che andrebbero meglio chiarite.

In uno scenario sempre più globale dal punto di vista economico e sempre più europeo da quello politico, ha senso che l’Agcom rimanga del tutto indipendente? Non si dovrebbe pensare – al di là dei confronti che continuamente avete con le Authority “sorelle” della UE – a strutturazioni più organiche?

Il settore delle comunicazioni elettroniche è senz’altro in Europa quello caratterizzato dal maggior grado di integrazione ed armonizzazione delle politiche regolamentari. Esiste – come dicevo – un coordinamento comune di tutte le Autorità di settore attraverso un’associazione, l’ERG, di cui l’Agcom è stata Presidente di turno proprio lo scorso anno. Esiste soprattutto un’unica matrice regolamentare definita dal pacchetto di Direttive adottato dalla Commissione nel 2002 ed ora in fase di ulteriore affinamento. In questo quadro, l’armonizzazione dell’implementazione della regolamentazione comunitaria a livello nazionale è assicurata dalla Commissione, che ha un ruolo di controllo e vigilanza.

Mi sembra che i fatti confermino che siamo arrivati ad un sistema istituzionale efficiente su base associativa, ovviamente sempre migliorabile, ma evitando un’eccessiva centralizzazione che comporterebbe inevitabilmente sia un allungamento dei tempi di regolazione che un’eccessiva distanza dallo specifico mercato da regolare, il quale può avere (e in Italia ha) le sue specificità sia pure nel contesto complessivo in cui va armonizzato: armonizzato, non compresso.

Su una tematica difficile come quella dell’appartenenza/indipendenza societaria della rete di accesso agli utenti finali, che vede posizioni al momento ancora molto differenziate in Europa, Agcom appare da tempo – per le motivazioni esposte in premessa – alla difficile ricerca di un compromesso fra le diverse esigenze. Ci può dire qualcosa sullo stato della riflessione?

L’attuale Consiglio dell’Autorità ha iniziato un’attenta riflessione sulla problematica dell’accesso alla rete locale di Telecom Italia. È chiaro che, a differenza del mobile dove operano quattro operatori infrastrutturati, nel fisso la rete d’accesso, essendo unica, rappresenta un collo di bottiglia. Perciò abbiamo messo in campo una politica regolamentare che, come ci ha riconosciuto in più occasioni la Commissione europea (da ultimo nel XIII Rapporto sullo stato del settore), ha ottenuto importanti risultati; l’Italia, con oltre 3 milioni di linee, è, ad esempio, leader nell’unbundling.

Ciononostante, considerato il peso dell’accesso e le quote ancora detenute dall’incumbent, abbiamo ritenuto al contempo indispensabile avviare una riflessione sull’opportunità di compiere un ulteriore passo in avanti in tema di separazione funzionale della rete di Telecom. Abbiamo quindi aperto un procedimento tendente a ridefinire l’intero quadro nazionale della regolamentazione dell’accesso, non solo a livello wholesale, ma anche retail. Ora sarebbe prematuro illustrare intendimenti e risultati di questo processo sui quali è ancora in corso il confronto con Telecom, ma già nella Relazione al Parlamento del prossimo mese di luglio illustrerò la cornice del nostro intervento.

Tra i comparti relativamente nuovi e passibili di rilevante crescita nei prossimi anni vi è quello delle Tv Digitali. Cosa bolle in pentola? Su quali temi state lavorando? Quali quelli più caldi che state analizzando?

Incominciamo col dire che l’attuale Consiglio ha posto la televisione digitale al centro delle proprie iniziative. La transizione dall’analogico è un fatto tecnologico, un imperativo che ci viene dal contesto istituzionale europeo, ma soprattutto, per l’Italia, una grande opportunità per pervenire ad un assetto più innovativo, concorrenziale e pluralistico. Con questa prospettiva, abbiamo varato, nel maggio del 2006, un regolamento in materia di televisione digitale in mobilità che ha permesso agli operatori nazionali di introdurre, primi al mondo, il servizio in tecnica DVB-H, la modalità diffusiva che è stata poi scelta dalla Commissione come standard europeo.

Ad oggi, il servizio conta quasi 1 milione di utenti, risultato che pone l’Italia in posizione di leadership mondiale. Inoltre, dopo aver effettuato un immane sforzo di censimento dell’etere televisivo, stiamo definendo le modalità esecutive del passaggio dall’analogico al digitale terrestre (il DVB-T): in Sardegna è stato già raggiunto un accordo che prevede, per la prima volta in Italia, un riordino dell’etere televisivo. È stato un esercizio difficile, ma altamente significativo, il cui risultato è di assicurare finalmente un efficiente utilizzo dello spettro frequenziale nonché condizioni che consentano un maggior grado di concorrenza e di pluralismo nel settore.

Tali finalità connotano anche la procedura competitiva, definita sempre dall’Autorità, per l’accesso, da parte di fornitori di contenuti indipendenti, alla capacità trasmissiva terrestre dei tre maggiori broadcaster televisivi(Rai, Mediaset e Telecom Italia). Come vede, l’insieme di questi interventi regolamentari assicura un assetto del settore più improntato all’innovazione, alla concorrenza ed al pluralismo, dando così concreta risposta alle giuste sollecitazioni mosse dalla Corte costituzionale, dalla Commissione europea e dalla Corte di giustizia di Lussemburgo.
Il settore del Mobile Content – ove l’Italia è riuscita ad esprimere eccellenze a livello internazionale – ha subito uno sviluppo tumultuoso negli ultimi anni e, anche per questo, ci si attende una sua maggiore regolamentazione. Ci può spiegare a quali principi si sta ispirando Agcom nella messa a punto della regolamentazione? O addirittura quali azioni sono sotto la vostra valutazione?
Ho già detto della regolamentazione della televisione in mobilità. Questa cornice istituzionale innovativa ha ovviamente stimolato gli operatori ad offrire nuovi contenuti audiovisivi su terminale mobile, con un effetto domino. Lo stesso dicasi per la disciplina da noi introdotta in materia di numerazioni e di tariffazioni massime dei servizi mobili a valore aggiunto. Detto questo, è bene evidenziare che in Europa le Autorità di settore non hanno particolari competenze in materia di contenuti, se non – per ragioni diverse e con poteri limitati – su quelli del servizio pubblico radiotelevisivo, salvo ambiti più specifici, ad esempio la tutela dei minori. Ed è per questo che i maggiori interventi sono venuti, in questi anni, dalla Commissione europea, con casi che hanno riguardato i diritti sportivi di Nazioni quali Gran Bretagna, Spagna, Germania e Italia.
Adesso tuttavia, la normativa nazionale appena introdotta in materia di diritti audiovisivi del campionato italiano di calcio e di quello di basket assegna nuove interessanti competenze all’Agcom e si pone quindi come un primo passo verso una nuova forma di regolamentazione dei contenuti audiovisivi.
Ci può fare qualche commento a valle della gara per l’assegnazione delle licenze WiMax, in particolare su quali potrebbero essere i prossimi passi?
Il primo commento è che il mercato ha confermato che quando si definisce una procedura competitiva efficiente, in questo caso un’asta il risultato non può che essere positivo. L’esito dell’asta WiMax, con oltre 130 milioni di euro di incassi – l’ammontare più elevato in Europa – evidenzia l’interesse degli operatori per questa tecnologia e per il nostro mercato. Inoltre, tale procedura ha permesso l’ingresso sul mercato di nuovi operatori, con positive ricadute sulla concorrenza e sui consumatori. È chiaro tuttavia che le caratteristiche della tecnologia e, soprattutto, l’attuale assegnazione, in Europa, dello spettro frequenziale al servizio WiMax rende tale modalità – al momento – più un’integrazione che un sostituto delle connessioni fisse, specie se si considera la fibra ottica. Ritengo che, allo stato delle cose, il WiMax si collochi quindi come un servizio complementare che permetterà, tra l’altro, di fornire contenuti broadband ad una fascia della popolazione attualmente non coperta dai servizi di trasmissione ad alta velocità.
L’Agcom è intervenuta recentemente per creare condizioni particolarmente favorevoli di servizio per i disabili. A cosa si ispirano questi interventi? Sono previste altre azioni?
Queste azioni a favore di alcune categorie disagiate, quali non vedenti e non udenti, rispondono all’esigenza di rendere il progresso tecnologico al servizio di particolari istanze sociali cui il mercato, spontaneamente, non si farebbe carico. Ritengo che sia un segno di civiltà permettere di comunicare a chi altrimenti non sarebbe in grado di farlo. D’altronde è questo uno scopo fondamentale della regolamentazione: intervenire laddove il mercato fallisce, aumentando il benessere della collettività.
Sul un altro tema di grande rilevanza e impatto sociale, quello che riguarda la tutela dei minori, che ruolo sta svolgendo l’Agcom?
La tutela dei minori è un compito di grande rilevanza sociale. Le competenze dell’Agcom riguardano soprattutto le reti proprietarie, meno – infinitamente meno – gli ambiti aperti, come la rete Internet per cui esiste un vulnus normativo a cui la nuova Direttiva sui Media sta cercando di supplire. L’Agcom, grazie anche alla stretta collaborazione con il Comitato Tv e minori, è intervenuta con misure incisive sulle televisioni, nazionali e locali; basti pensare alle sanzioni prese nei confronti di trasmissioni che ledevano i diritti dei minori in occasione di eventi che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica, come nel caso delle denunce di Rignano Flaminio. Ma la nostra azione ha riguardato anche i contenuti veicolati su terminali mobili. Da ultimo, abbiamo stimolato forme di auto-regolamentazione degli operatori di comunicazione, che hanno portato al raggiungimento di importanti risultati a tutela dei minori.

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