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Torna in Italia la Porno Tax. Ma chi la pagherà?

La nuova imposta, ancora soggetta a iter parlamentare, andrà a colpire in modo deciso anche i settori della telefonia mobile e di Internet. Tuttavia, la sua applicazione appare molto complessa  

Pubblicato il 01 Gen 2009

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Il Decreto-Legge 29 novembre 2008 n. 185 (il cosiddetto
“Decreto Salvacrisi”) ripropone, quasi a sorpresa,
la famosa e sin qui mai applicata Porno Tax introdotta a suo
tempo con l’art. 1 della L. 466/05 (Finanziaria 2006). Si
tratta di una disposizione di natura fiscale
estremamente
gravosa, in quanto impone
un’addizionale di imposta pari al 25% sui redditi, per
tutti i soggetti
(titolari di reddito d’impresa
o da esercizio di arti e professioni) che producono,
vendono, distribuiscono o rappresentano materiale
pornografico
.

Cosa si intenda per materiale pornografico lo chiarisce
l’articolo 31 del citato D.L. 185, che recita al III
comma:
Ai fini del presente comma, per
materiale pornografico si intendono i giornali quotidiani o
periodici, con i relativi supporti integrativi, e ogni opera
teatrale, letteraria, cinematografica, audiovisiva o
multimediale, anche realizzata o riprodotta su supporto
informatico o telematico, in cui siano presenti immagini o
scene contenenti
atti sessuali espliciti
e non simulati tra adulti consenzienti, come determinati con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro per i beni e le attività culturali, da emanare
entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto.

Al momento in cui scriviamo, la sorte definitiva di
questa disposizione, così come per l’intero decreto,
dipenderà dal completamento dell’iter parlamentare;
inoltre, il dicastero di Sandro Bondi dovrà definire quali
siano le categorie di atti sessuali non simulati da
“tassare”. Malgrado ciò, è già possibile
azzardare qualche riflessione a caldo.

Un mercato ricco

La “torta” (teorica) del porno in Italia è
ricca: circa un miliardo di euro, da qui la iper ottimistica
stima di un gettito fiscale aggiuntivo di circa 220 milioni di
euro. Nella realtà, molto dell’industria del porno
“gira” su circuiti paralleli, opachi e
difficilmente tracciabili. Ciò nondimeno, l’intero
settore (ufficiale e non) è senza dubbio florido ed era logico
che stimolasse gli appetiti del nostro legislatore fiscale in
un momento così difficile per l’economia globale. Senza
voler assolutamente entrare in dibattiti o digressioni di
carattere morale e/o etico, che lasciamo ad altri commentatori,
appare evidente che la norma predetta, nella sua
attuale configurazione, andrà a colpire in modo deciso anche
il settore della telefonia e di Internet
(e
dell’interazione tra le due). Il dettato della norma
parla chiaro e ricomprende ogni tipo di contenuto, sia esso
materiale, multimediale, informatico o televisivo. Credo si
possa affermare che la formulazione della norma sia
sufficientemente aperta da comprendere davvero ogni
ipotizzabile forma di divulgazione di prodotti

adult (per dirla con un termine caro a content
provider
ed operatori telefonici). Inoltre, se mai
vi fossero stati dubbi interpretativi, il 3 comma
dell’art. 31 come sopra riportato, ha aggiunto
esplicitamente, rispetto al vecchio testo, anche la fattispecie
dei ricavi derivanti da trasmissioni di programmi
televisivi.
Non pare quindi che vi possano essere
dubbi che il porno su Internet, telefonia mobile, IP
television e televisione su telefonia mobile (DVB-H o altri)
dovranno tutti soggiacere alla

porno-tax.

Gli impatti sulla telefonia
mobile

Da una prima e parziale analisi è possibile ritenere che
forse, il mercato (dell’
adult) più
colpito sarà proprio quello che circola sui circuiti della
telefonia mobile. Quali sono gli elementi che inducono a tale,
provvisoria, conclusione? Innanzitutto la granitica, iniziale
tripartizione delle cosiddette Killer Application che hanno
fatto ricco il mercato dei contenuti per telefonia mobile, ed
in parte di Internet in mobilità: musica, sport e sesso
(nell’ordine preferito di ogni utente). Se lo sport è
rimasto circoscritto al calcio, la musica ha lasciato parte del
suo spazio a chat, forum e community, mentre
l’
adult naviga pressoché
imperterrito tra le limitazioni, restrizioni e classificazioni
(a volte bizantine) via via introdotte dagli operatori o

dagli stessi content provider, per
limitarne l’accesso al pubblico maggiorenne. In secondo
luogo, la piena tracciabilità del fenomeno. A differenza della
carta stampata o dei supporti fisici, oramai relegati a ruoli
marginali e per i secondi, del tutto sovrastati dalla
pirateria, il porno sul telefonino, sia esso in

downloading o streaming,
è ufficiale e pienamente “rendicontato”.
Quanto pesi
l’
adult sul
fatturato dei content non è facile da calcolare
né desumere, tantomeno dagli operatori telefonici che, per
politica comune, mantengono sempre uno stretto riserbo
e
rinviano tutto ai fornitori di
contenuti, trincerandosi dietro una supposta
“incoscienza” di chi trasporta fasci di byte senza
mai “guardarci dentro”
.

Ribadendo una personalissima perplessità sulle virtù
assolute dei
carrier, peraltro non
pertinente in questa sede, ciò che emerge con certezza non è
se la porno tax dovrà essere pagata, ma da chi o da quanti. Il
dettato normativo è talmente ampio che è difficile immaginare
una categoria di soggetti esenti dall’imposta. È dunque
ipotizzabile che per ogni soggetto della filiera interessato
alla fattispecie si prefiguri un’apposita contabilità
separata, o specifici criteri di individuazione, che evidenzino
i fatturati generati dai contenuti
adult
per l’assoggettamento degli stessi
alla maggiorazione d’imposta. Chiunque abbia
familiarità con la dinamica della costruzione del valore nel
settore dei contenuti per telefonia mobile può facilmente
intuire quanto difficile sarà applicare tecnicamente la norma,
e quindi quanto la stessa potrà essere agevolmente
aggirata
. Un esempio per tutti: i carrier telefonici
billano” i contenuti per
categorie di prezzo (ad esempio 2 euro uno sfondo, 3 euro
un
true tone ecc.) oppure per
suscription (x euro la settimana), lasciando
al
content l’imputazione del costo
al
contenuto specifico. Il tutto ai fini delle
successive politiche di
revenue
sharing
con i fornitori dei contenuti oppure,
se del caso, per l’assolvimento dell’eventuale
pagamento del diritto d’autore. Non è improbabile che in
futuro l’operatore telefonico possa sostenere di non
conoscere quale parte dei ricavi derivino
dall’
adult. Ora immaginiamo che i
ricavi netti ai fini porno tax siano 100: la sovraimposta sarà
dunque 25, ma come si ripartirà? E soprattutto, chi
“dichiarerà” il 100? La logica vorrebbe che ogni
soggetto applichi le stesse proporzioni utilizzate nel calcolo
della
revenue share, soprattutto nei
servizi cosiddetti
on deck, e dunque il
nostro 100 deriverebbe dalla somma dei ricavi generati da
produttore di contenuti,
content
provider
e carrier, ma le
perplessità sul rispetto dei ruoli e delle proporzioni restano
elevate.
Se si aggiunge che i meccanismi di
controllo appaiono già ora difficili da applicare (si pensi
agli ostacoli tecnici di
un’
audit su un
content o un carrier),
esiste una fondata possibilità che la portata effettiva della
nuova imposta si riduca ad un discutibile proposito per
aumentare il gettito fiscale, poco efficace sulle aree di
business a maggior valore aggiunto e, semmai, con un marginale
riscontro pratico sul commercio di oggettistica e riviste
“di settore”.

Per dovere di cronaca è interessante segnalare che quasi
in contemporanea con la reintroduzione della norma di cui
sopra, altri giganti della rete hanno iniziato una
nuova crociata moralizzatrice
. YouTube ha recentemente
ribadito la propria contrarietà al porno avvertendo tutti gli
utenti che ogni contenuto di natura pornografica (anche se
“autoprodotto”) sarà immediatamente rimosso, ed
allo stesso tempo ha invitato tutti i propri iscritti a
segnalare al gestore ogni contenuto proibito

postato da altri iscritti,
affinché subisca la stessa sorte. L’iniziativa merita un
plauso nella misura in cui rivede le politiche di controllo e
accesso da parte dei minori a contenuti

hard, oggettivamente troppo alla portata di mano
anche dal navigatore meno esperto. Certo se anche i

player nostrani decideranno di accodarsi
al
trend neo-puritano, il nostro
Ministero delle Finanze dovrà rivedere (ancora una volta)
verso il basso le proprie stime di gettito dal porno.

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