Mobile Advertising

Pubblicità su Mobile: banner e Native a confronto

I “Mobile Display Ad”, cioè i banner, sono ancora il tipo di messaggio pubblicitario più diffuso su Mobile, ma la crescita del Native Advertising è altissima, grazie alla capacità di integrarsi nel web contest senza risultare aggressivo. Una possibile rivoluzione che potrebbe interessare anche il mondo pubblicitario in Italia

Pubblicato il 12 Ott 2015

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Esempio di promoted tweet

Accanto al Mobile Display Advertising, i cosiddetti banner, sta emergendo una nuova forma pubblicitaria, il Mobile Native Advertising, un contenuto che assume lo stesso “stile” del contesto in cui appare, sia nell’aspetto grafico che nel contenuto. L’obiettivo è di non distrarre e contrariare l’utente, cercando anzi di dargli qualcosa che arricchisce ciò che sta leggendo. Un esempio i promoted post di Facebook o i promoted tweet di Twitter (vedi qui a fianco).

La Mobile Marketing Association (MMA) ha condotto un’indagine sulla crescita del Native Ad rispetto ai banner, analizzando dati ottenuti dalla collaborazione con alcuni dei propri membri, come Ahalogy, Celtra, EA, PubNative, Sharethrough, Waze e Yahoo. I risultati, che vedono un netto incremento dell’efficacia del Native Ad, trovano riscontro nei vantaggi e limitazioni delle due tipologie.

Secondo l’indagine di MMA, il Native Advertising si è rivelato più efficace del competitor. La superiorità si concretizza, nei settori presi in considerazione nell’analisi (Fashion, Mobile Gaming e Retail) a livello di: attrazione del potenziale cliente, brand awareness, spinta all’acquisto.

1. Attrazione del cliente. PubNative, piattaforma Mobile dedicata al Native Advertising, ha riscontrato un fattore di crescita del Click Through Rate pari a 6 nel confronto tra banner e Native Ad inserito nelle Mobile App. Aumento del 150%, invece, per la campagna pubblicitaria di Pandora, nota catena di gioiellerie. Infine le ricerche condotte da Celtra, azienda realizzatrice di inserzioni, hanno mostrato che gli utenti trascorrono il 40% del tempo in più ad interagire con i Native Ad rispetto al modello standard.

2. Brand awareness. Paradigmatici i casi Yahoo! e Waze. Yahoo! ha condotto uno studio su un campione di un migliaio di propri utenti, verificando che gli Ad di tipologia Native hanno innalzato la “conoscenza di marca” fino al livello top of mind – l’associazione diretta della marca alla classe di prodotto – con un successo del 114% rispetto ad un campione di controllo. Percentuali ancora più elevate si sono registrate con l’utilizzo di due format Native contemporaneamente.

Waze, invece, ha promosso una campagna pubblicitaria inserendo Native Ad all’interno delle proprie mappe. Precisamente, 64 studi di efficienza delle inserzioni per le maggiori marche, distribuiti in 9 Paesi. I brand coinvolti rappresentavano un’ampia varietà di settori, tra cui Retail, catene di ristoranti, petrolio, automobili, banche, telefonia, alimentazione, divertimento e compagnie di assicurazione. La ricerca prevedeva il piazzamento dei “segna-posto” relativi ai brand sulle mappe degli utenti, lungo i percorsi da loro impostati. Il richiamo del marchio è stato, in media, il doppio se paragonato al campione di controllo.

3. Spinta all’acquisto. Ahalogy, grazie alla collaborazione con Pinterest, ha verificato il potenziale dei Native Ads sul social network: il 52% di chi ne ha preso visione ha visitato uno store spinto a comprare, mentre il 53% ha concretizzato l’acquisto, online o in negozio. Anche EA ha ottenuto risultati in questo senso: le pubblicità Native inserite nelle esperienze di gioco Mobile hanno portato a una considerazione all’acquisto variabile dal 30 al 200%. Come questi due brand presi in esame, anche altre aziende che hanno condotto esperimenti in questa direzione hanno confermato la stessa tendenza.

Il triplo dell’attenzione

esempio di native ad su Pinterest

I punti di forza del Native Ad rispetto al competitor sono notevoli, e derivano tutti dalla capacità di fondersi, quasi mimetizzarsi, con i contenuti che l’utente sta osservando. Questo li porta ad evitare di disturbare il lettore, il quale risulta più facilmente interessato: MMA, dai riscontri di un’indagine portata avanti sulle pubblicità interne a Yahoo!, ha verificato che il Native Ad riceve il triplo dell’attenzione rispetto alla tipologia rivale. Ulteriori conferme arrivano grazie a Sharethrough, al quale risulta, da uno studio commissionati sull’argomento, che l’occhio umano mette a fuoco il testo del Native Ad in media il doppio rispetto al Display Ad, spesso relegato a una visione periferica e distratta, che si lascia sfuggire molti particolari.

Il Native Advertising è recentissimo: non ci sono ancora elementi per individuare problematiche sul lungo periodo. Un’ipotesi consiste nel rischio che gli utenti si sentano raggirati dal mimetismo dell’inserzione, anche se, secondo un sondaggio di Copyblogger tra più di 2000 addetti ai lavori, il 61% degli intervistati non considera ingannevole questo tipo di pubblicità. Al contrario, per aumentare la propria visibilità, molti banner stanno diventando sempre più visualmente aggressivi, provocando fastidio e irritazione. D’altro canto, le capacità creative e tecnologiche richieste per inserzioni della categoria Native sono diverse: i banner sono in uso da più tempo e conseguentemente più semplici da realizzare per molte organizzazioni.

Resta da capire l’accoglienza in Italia di fronte a questa esplosione del Native Ad, che promette una possibile rivoluzione nel mondo della pubblicità. «Attualmente dati relativi al fenomeno riguardanti il nostro Paese non sono ancora disponibili», afferma Andrea Lamperti, Ricercatore dell’Osservatorio New Media & New Internet del Politecnico di Milano ed esperto di nuove forme di advertising online.

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