Arriva l’Internet delle Piante: miliardi di sensori “naturali” già connessi in rete

Gli alberi sono in grado di rilevare molti parametri, dalla temperatura alla composizione del terreno, trasmettendo particolari segnali elettrici. Il progetto comunitario Pleased, con protagonisti italiani, sta lavorando sulle tecnologie per decodificarli e usarli per diverse applicazioni Internet of Things soprattutto per l’agricoltura e l’ambiente

Pubblicato il 11 Apr 2014

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Uno dei problemi “collaterali” della forte diffusione delle tecnologie Internet of Things, di cui recentemente abbiamo parlato sia in prospettiva globale che in prospettiva italiana, è l’enorme numero di sensori – almeno mille miliardi secondo un recente articolo di Forbes – che saranno necessari per abilitare le applicazioni nei molti ambiti e settori in cui l’IoT può portare valore aggiunto.

La gestione di un tale numero di oggetti può comportare enormi complessità, a meno di non trovare il modo di sfruttare dei sensori – miliardi di sensori – che esistono già in natura: le piante. L’idea è tanto semplice quanto rivoluzionaria: le piante sono naturalmente connesse in rete tra loro, e sono in grado di rilevare moltissimi parametri, dalla temperatura alla concentrazione degli elementi chimici nella terra e nell’aria: per ciascuno emettono un particolare tipo di segnale elettrico trasmettendolo in rete. E con un’apposita tecnologia in grado di decodificare questi segnali, le piante possono diventare dei sensori capillarmente diffusi a bassissimo costo, utili teoricamente per qualsiasi applicazione di Internet of Things che riguardi l’ambiente in senso lato.

Il “Wood Wide Web”: reti che funzionano sempre e si riparano da sole

Facile pensare quindi a parafrasi suggestive, come “Internet of Plants”, e “Wood Wide Web”, ma tutto questo non è più fantascienza. La ricerca ci sta già lavorando, con un progetto finanziato dalla Comunità Europea chiamato Pleased (Plants Employed As Sensing Devices), che ha preso il via nel 2012 e ha protagonisti anche italiani. Tra i partecipanti ci sono infatti la startup tecnologica romana Wlab, che coordina il progetto, e l’Università di Firenze, oltre ad Advanticsys (Spagna), University of Southampton (UK), e London Institute for Mathematical Science (UK).

Di Pleased ha parlato Stefano Mancuso, direttore del LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) dell’Università di Firenze, all’Internet of Everything Italian Forum organizzato da Cisco a Milano. «Tutte le radici delle piante di un bosco, ma anche di un viale di città, sono tra loro connesse, per questo possiamo parlare di “wood wide web”: sono reti scalabili, che funzionano sempre, si mantengono e si riparano da sole, e quindi ottime fonti d’ispirazione per chi costruisce dei network – ha detto Mancuso -. Per le piante è vitale percepire se cambia qualcosa nell’ambiente circostante anche con grande anticipo, perché non possono muoversi: da questo dipende spesso la loro sopravvivenza».

Visto quindi che il concetto di Internet of Things si basa sui sensori come fonti di dati, perché non usare le piante, che sono già piene di sensori e connesse in rete tra loro, e sono dappertutto? «In Italia ci sono 7 miliardi di alberi, e ciascuno può percepire luce, gravità, vibrazioni, suono, campi elettromagnetici, umidità, presenza di gas o acidi, e molte altre cose: basta decodificare i segnali elettrici che irradiano, ed è su questo che sta lavorando il progetto Pleased».

Questi segnali, continua Mancuso, possono darci moltissime informazioni che cercheremmo installando sensori “artificiali”, e che poi possono essere condivise tramite reti intelligenti. Quello che stanno facendo i ricercatori di Pleased in effetti è rilevare, memorizzare e trasmettere i segnali elettrici emessi dalle piante utilizzando gli stessi tipi di elettrodi usati sui muscoli umani per le elettromiografie, piccole schede elettroniche open source basate su Arduino, e hardware sviluppato ad hoc.

Le piante come “garanti” della certificazione biologica

L’obiettivo del progetto è realizzare il primo “data set” di classificazione dei segnali emessi da diversi tipi di piante in corrispondenza di specifici tipi di stimoli (Pleased kit). Dopodiché la correttezza degli algoritmi sarà verificata in un ambiente naturale complesso (come un bosco o una foresta), in cui le piante subiscono stimoli ovviamente imprevedibili e incontrollabili, raccogliendo i segnali da varie piante attraverso una rete wireless, e poi elaborandoli in modo da ottenere una visione completa e globale di un ambiente di interesse.

Le applicazioni più immediate, ha spiegato Andrea Vitaletti, CTO di Wlab, in alcune interviste a Wired USA e Youris, sono il monitoraggio di parametri ambientali come la qualità dell’aria o la composizione chimica e la presenza di inquinanti nella terra, nonché il supporto alla cosiddetta “agricoltura di precisione”, basata sull’utilizzo di tecnologie avanzate per definire tempi e modalità degli interventi agronomici.

Le potenzialità quindi sono molte, visto che l’agricoltura è forse l’ambito più arretrato tecnologicamente, ma è un problema fondamentale ed enorme. «Nel 2050 dovremo produrre il 70% del cibo in più di adesso, e allo stato attuale delle conoscenze non si sa come fare – sottolinea Mancuso -: dopotutto, il tema dell’Expo 2015 di Milano è come nutrire una popolazione in continua espansione». Per le prime applicazioni concrete di Pleased però secondo Vitaletti ci vorranno altri quattro o cinque anni. «Un’applicazione estremamente pratica a cui stiamo pensando è usare le piante come “garanti” della certificazione biologica dei prodotti della terra: i loro segnali possono dirci se il coltivatore ha usato prodotti chimici e quali».

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