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Subscription ultima frontiera: l’offensiva dell’antitrust

Se la diversificazione delle offerte per telefonia mobile ha prodotto un indubbio vantaggio per il consumatore che, oramai, può scegliere tra un vastissimo…

Pubblicato il 01 Ott 2008

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Se la diversificazione delle offerte per telefonia mobile
ha prodotto un indubbio vantaggio per il consumatore che,
oramai, può scegliere tra un vastissimo
range
di contenuti e servizi, la modalità di pagamento
generalmente adottata da quasi tutti i
content
(seppur con piccole differenze), lascia poca scelta al
consumatore: abbonarsi. Senza entrare nel merito delle
scelte di politica economica dei vari

player, non vi è dubbio che la subscription
generi un certo aggravio per l’utente (economico e
di tempo), e si noti bene che operatori e

content, con percentuali più o
meno standard, traggono ugual vantaggio dalla suddetta
modalità
.

È opinione di chi scrive che tutto ciò rientri in una
logica socio/economica in fondo accettabile se praticata nel
pieno rispetto delle regole (si tratta pur sempre di

entertainment o infotainment, ovvero
servizi non essenziali). Non è dello stesso avviso la
Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, che negli
ultimi mesi, preceduta da forti manifestazioni da parte delle
associazioni a tutela dei consumatori, si è mossa pesantemente
nei confronti di alcuni
player, avviando
procedure formali per alcune supposte violazioni e pratiche
scorrette nei confronti dei consumatori. Sino ad ora non vi è
stato un vero attacco frontale contro la

subscritpion, che però viene più o meno
velata
mente censurata attraverso la verifica di
alcune pratiche commerciali, molto diffuse nella comunicazione
al pubblico per attrarre nuova utenza, che possiamo riassumere
con una sola parola: GRATIS. È sufficiente navigare in
internet, sfogliare pagine di quotidiani o magazine, o
semplicemente fare
zapping davanti al
video per imbattersi con assoluta regolarità in offerte
di
content provider che
offrono contenuti gratuiti. Sono innumerevoli gli slogan (per
dirlo all’antica) come “
scarica
gratis”
, ovvero “il primo
contenuto è gratuito”
; oppure, e più
semplicemente, la parola GRATIS campeggia in
corpo
20
in infinite landing pages o
nei
footer delle comunicazioni video.
Come è normale, ed oserei dire accettato,
l’
hook
della parola gratis conduce ad un’offerta
commerciale che gratis non è affatto
. È ben vero
che, nella generalità dei casi, il contenuto gratis è
effettivamente ricevuto dal consumatore, ma in cambio di
un servizio in abbonamento che per quanto pressoché
standardizzato nelle dimensioni economiche, a volte può
rivelarsi troppo oneroso.

Attraverso lo spiraglio (o la breccia) lasciata aperta da
alcuni
content per un uso per così dire
spregiudicato della parola gratis, o della modalità di

billing, l’Agcom si è introdotta
prepotentemente nella filiera avviando procedure nei confronti
degli operatori le quali, traendo spunto da quanto sopra, non
risparmiano rilievi critici sul vero nodo del problema: per
l’appunto la modalità

subscription. La tesi che sottende
l’indagine sulle presunte pratiche commerciali scorrette
si spiega facilmente: l’utente, attratto dalla
parola gratis, avvia la procedura di

downloading e, in modo più o
meno cosciente, si abbona
. Posto che gli obblighi di
comunicazione al pubblico siano stati tutti ottemperati (e che
esamineremo oltre), qual è allora la censura
dell’Antitrust? La risposta è semplice: anche se
l’utente ha compreso che il servizio comporta un
pagamento, il messaggio appare troppo distorsivo
, egli
rischia dunque di dover pagare un prezzo troppo alto per un
unico contenuto. Allo stesso modo la modalità

subscription, che addebiterà ogni settimana la
medesima cifra sul conto telefonico dell’utente, può
essere spropositata rispetto all’interesse del
consumatore.

Proviamo ad analizzare i rilievi dell’Autorità,
che spesso rinvia al Codice del Consumo, esaminando i requisiti
indispensabili per la comunicazione all’utente:

al messaggio GRATIS deve corrispondere
un’altrettanto chiara comunicazione che il servizio
“finale” è a pagamento ed in abbonamento (se
questo è il caso);

l’indicazione che il servizio è riservato
ai maggiorenni deve essere chiara e presente in ogni fase della
procedura di abbonamento;

sia nel caso in cui l’utente acceda
attraverso internet, sia che invii un sms con codice del
prodotto/servizio per averlo individuato in TV o su un
magazine, il
content deve comunicare
tutte le condizioni di abbonamento, (attraverso un altro sms),
in special modo quelle economiche, nonché quelle di
“disabbonamento”.

La trappola del download facile

In modo più o meno efficace pressoché tutti gli
operatori si conformano alle prescrizioni di cui sopra. Al
netto di comportamenti devianti che devono essere giustamente
sanzionati, quello che si avverte invece nei procedimenti in
corso è una sorta di “fastidio” per la metodologia
in sé. I fatti sembrano dare ragione all’Autorità:
troppo spesso una comunicazione aggressiva fa si che
molti utenti (spesso minorenni) cadano nella trappola
del
download
facile. Essi non solo pagheranno un
prezzo alto magari per un unico contenuto, ma si ritroveranno
abbonati in perpetuo sino a quando non sarà attivata la
procedura di interruzione di cui non hanno avuto coscienza. La
consapevolezza del consumatore medio costituisce il fulcro
delle censure, e di conseguenza la metodologia di acquisizione
del consenso appare il discrimine principale tra pratica
commerciale legittima e scorretta.
La fattispecie
di cui sopra può portare ad interpretazioni e risultati
contrastanti: se consapevolezza e consenso sono essenziali per
la protezione
tout court
dell’utente medio, la loro mancanza può condurre
sino alla chiusura del servizio. Per converso, se un utente è
correttamente informato diviene gioco forza responsabile dei
propri comportamenti, inclusi quelli con un’immediata
rilevanza economica, e dunque appaiono ingiustificate o quanto
meno eccessive alcune “crociate protettive” a
posteriori (non da parte del Agcom, ma spesso appannaggio di
associazioni di consumatori) che sembrano voler sempre e
comunque presentare il consumatore come un indifeso

minus sapiens.

Il recente progetto di “codice di
autoregolamentazione” degli operatori si è sforzato di
contribuire ad una forse tardiva

glasnost del rapporto
operatore/utente, attraverso una serie di interventi che
vanno da una procedura di
billing
il più possibile tutelante per il consumatore, per
arrivare (forse) alla consegna in tutti i casi del contenuto
offerto “gratis” anche nelle ipotesi in cui non sia
possibile completare la procedura di

subscription.

I punti critici della procedura informativa

Torniamo alla “procedura informativa” tra
content ed utente e analizziamone i punti
critici: una comunicazione ingannevole sui contenuti, servizi e
relativi costi effettivi (compresi quelli per il traffico
telefonico); la sequenza tecnica troppo complessa per
l’ottenimento del contenuto, ma molto facile (per
il
content e l’operatore) nella fase di
billing; una poco intellegibile modalità di
disattivazione del servizio (magari solo per sms e con una
sintassi limitata). Sopra tutto questo incombe la
ne
cessità di controllo dell’effettiva
maggiore età dell’utente,
target
da proteggere “a prescindere”.

Se per la comunicazione ed i requisiti tecnici è
possibile individuare standard quantitativi e qualitativi
sufficienti (le analogie con altre pratiche commerciali sono
numerose, si pensi alle televendite e telepromozioni o altre
fattispecie di commercio elettronico), di tutt’altro
spessore è il problema della maggiore età. Sino ad oggi il
sistema si è retto su due cardini: a) la comunicazione diretta
(si pensi al
box sulla web
page
dove l’utente deve
flaggare” la dichiarazione
di maggiore età ed accettazione delle modalità di erogazione
del servizio); b) l’assunto che il titolare della SIM
card telefonica sia maggiorenne per definizione, scaricando
così l’onere di un controllo preventivo sulla catena
distributiva dei singoli operatori. A mio avviso solo il primo
dei due principi può e deve essere approfondito e
coltivato.

È di conoscenza comune che il mondo
“virtuale” consente l’aggiramento di precetti
un tempo considerati inviolabili e facilmente coercibili. Se ci
soffermiamo per un momento per la strada, su un autobus o di
fronte ad una scuola, vedremo ogni giorno legioni di
trasgressori che, telefonino in mano, accedono con regolarità
a “servizi riservati a maggiorenni”, scaricando
suonerie, sfondi, giochi java e molto altro. Come giudichiamo
questa “devianza generalizzata”? La consideriamo
moralmente e socialmente accettabile (e dunque non più
devianza), ovvero persiste la violazione di un precetto
giuridico? Se così fosse quale sarebbe la conseguenza
giuridica dell’acquisto di un contenuto per telefonia
mobile posto in essere da un minorenne che utilizza il
telefonino di un adulto, o come nella generalità dei casi, con
un telefono
regalato da un adulto?
L’invalidità dell’acquisto e della ripetibilità
del prezzo pagato? E che dire della responsabilità dei
genitori per gli atti compiuti dai minori? È di tutta
evidenza che la problematica è ben più complessa ed estesa, e
non vi può essere “a posteriori” una censura ai
soli operatori che si troverebbero ad affrontare
una
probatio
diabolica
.

Ancora a opinione di chi scrive, ed in assenza di una
legislazione più specifica e puntuale (di cui il Codice del
Consumo costituisce una delle fonti principali ma non unica),
il rimedio è la comunicazione, per quanto possibile
standardizzata, diretta ed efficiente. Il mondo dei
contenuti per telefonia mobile, come per il web, richiede
informazione, consapevolezza e regole chiare
. Gli
acquisti di servizi (o spesso sarebbe meglio definirli beni
intangibili) attraverso l’utenza telefonica sono ancora
agli albori, ma il futuro degli acquisti via telefono è già
una realtà in altri paesi, e la sfida da affrontare è
sociologica e morale prima che tecnologica. È corretto ed
indispensabile che il consumatore medio sia tutelato da ogni
comportamento commercialmente scorretto, dalla frode vera e
propria sino al
dolus bonus
di romana memoria, ma una riflessione generale si impone.
Il mondo della telefonia mobile e delle sue innumerevoli
applicazioni è divenuto in pochi anni un fenomeno sociale che
ha cambiato le abitudini di vita di milioni di persone.
Il nostro Paese, oltre che patria del diritto, è anche
patria di un’utenza “sfrenata” di ogni
tipologia di servizi per “telefonini”, tale da
essere considerato un riferimento a livello mondiale
.
È preciso dovere di tutte le parti coinvolte, dal Legislatore
all’industria alle svariate autorità di controllo,
sedersi al medesimo tavolo per prendere atto di una situazione
di fatto oramai consolidata e darvi una regolamentazione.
Questa dovrà essere il più possibile puntuale, coerente ed
adeguata, tracciandone i limiti in modo chiaro al fine di
tutelare
tutte le parti in causa,
possibilmente senza preconcetti ideologici né zone grigie
aperte alle “solite” interpretazioni
strumentali.

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