Connessione, collaborazione e sicurezza i pilastri di Industria 4.0. E Citrix li ha

Così evolvono i concetti di Internet of Everything e Smart Manufacturing con l’integrazione delle attività umane lungo i processi produttivi e logistici e molte imprese, a partire da Bauli, PSA e Dallara, stanno indirizzando questa nuova sfida. Come? Potendo contare su un partner tecnologico che offre risposte specifiche a esigenze peculiari

Pubblicato il 16 Giu 2017

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Che cos’è l’Industria 4.0? È prima di tutto un flusso interconnesso di operazioni, interazioni e transazioni che bilanciano, ottimizzandole, domanda e offerta sfruttando tre delle peculiarità più preziose delle tecnologie digitali: real time, precisione e tracciabilità. Su questa logica si possono quindi costruire o innestare applicazioni che raccogliendo e interpretando i dati interni ed esterni all’impresa permettono al suo ecosistema di raggiungere la massima efficienza attraverso l’automazione.
Inserendo l’apporto umano in questo flusso è possibile dare vita a una piattaforma che abiliti senza soluzione di continuità qualsiasi tipo di processo produttivo e logistico superando i tradizionali limiti di tempo e di spazio. Ed è così che il concetto di Internet of Things (IoT), alla base dello Smart Manufacturing, evolve in quello di Internet of Everything, una dimensione all’interno della quale tutto è connesso: uomini, macchine e servizi, a prescindere da dove si trovino o agiscano sul piano strettamente geografico. È per certi versi anche un’evoluzione del concetto di collaboration, che non abbraccia più solo il tema della condivisione di documenti e workstation, ma si espande anche alla facoltà di interagire con le macchine, all’interno della catena del valore e del PLM (Product Lifecycle Management) senza la necessità di rallentare o interrompere i processi, dalla progettazione alla distribuzione passando per le delicate fasi della prototipazione.

Produttività ovunque, il vero vantaggio della nuova rivoluzione industriale chiamata Industria 4.0

Industry 4.0, inoltre, non significa soltanto più efficienza, declinata in termini di time to market, maggiore qualità e costi inferiori di prodotti e servizi a fronte di un impatto ambientale minore. Significa anche e soprattutto scalabilità e adattabilità, rese possibili dalla standardizzazione delle infrastrutture IT e dall’introduzione delle risorse on demand offerte dal Cloud. Se negli anni ’80 e ’90 l’industria manifatturiera ha infatti cavalcato la globalizzazione per delocalizzare impianti e stabilimenti alla ricerca del risparmio sul piano dell’hardware e della forza lavoro, oggi internazionalizzare vuol dire in primo luogo creare autostrade informatiche che omogeneizzino lo scambio di dati e l’accessibilità ai sistemi da qualsiasi postazione, rendendo l’esperienza d’uso condivisa, senza frizioni e soprattutto sicura. Si possono così trovare e ingaggiare i talenti migliori senza dover aprire nuove sedi o attivare dispendiose trasferte. La vera forza della nuova rivoluzione industriale è proprio la sua capacità di abbattere le barriere geografiche, virtualizzando desktop e workstation e massimizzando la capacità trasmissiva delle reti per coinvolgere gli utenti – collaboratori interni come consulenti esterni, entrambi anche in modalità smart working – in processi di co-creazione su applicazioni di qualsiasi tipo, persino complesse come quelle dedicate alla modellazione 3D.

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Le parole d’ordine dell’impresa 4.0? Mobility e Security

Portando il concetto alle estreme conseguenze, si può dire che oggi il business è là dove si trova l’utente. In ufficio, a casa, in viaggio: grazie ai device portatili è possibile partecipare attivamente a qualsiasi task contando su piattaforme condivise dalle interfacce semplici e intuitive e su tecnologie di connessione che ottimizzano il trasferimento dei dati in qualsiasi condizione di connettività. Naturalmente la crescita esponenziale dei punti di accesso implica anche una maggiore esposizione del network ad attacchi, tentativi di intromissione nell’infrastruttura e furti di dispositivi da parte di cybercriminali, sempre più attratti dall’asset più prezioso delle aziende: i dati. Non parliamo solo di know how e proprietà intellettuali, ma anche di informazioni sensibili che riguardano clienti, fornitori e partner, oltre al patrimonio in continua evoluzione generato da analytics e machine learning, elementi destinati a costituire il vero vantaggio competitivo nello scenario globale. Per tutte queste ragioni oggi performance è sinonimo anche di sicurezza, e non è concepibile un’Industry 4.0 senza un adeguate policy e soluzioni di data protection.

Chi l’ha già fatto: le case history di Bauli, PSA e Dallara

Ci sono aziende che sono già riuscite a trovare il giusto equilibrio tra tutte queste istanze, e grazie a investimenti e sforzi organizzativi orientati a questo risultato hanno cavalcato la digital disruption rivedendo e migliorando processi industriali e modelli di business.
Bauli, per esempio, può guardare con serenità al piano di espansione nazionale e internazionale che la aiuterà a destagionalizzare del tutto le proprie attività. Nel corso degli anni, infatti, l’azienda di Verona è diventata titolare dei marchi Motta, Alemagna e Doria: oggi con 27 centri di distribuzione per un totale di 420 mila metri quadrati di superficie occupata, mette in moto un giro d’affari da quasi 500 milioni di euro. Bauli ha così dovuto imparare ad affrontare la crescente complessità dell’organizzazione non solo sul piano logistico, ma anche su quello delle comunicazioni, visto che oltre all’aumentare delle utenze, collegate tipicamente tramite PC, ciascuna delle strutture ereditate attraverso le acquisizioni ha portato in dote applicazioni peculiari. A questo si deve aggiungere anche lo stato dell’infrastruttura di connessione ultra-broadband, inadeguata come spesso capita nelle aree rurali del territorio italiano, e la domanda crescente da parte della forza commerciale di soluzioni per il mobile working. Virtualizzando e unificando tutte le attività, Bauli può ora gestirle in maniera agile, scalabile e sicura.

C’è poi il caso del gruppo PSA Peugeot Citroën. Il secondo costruttore automobilistico europeo, con quasi tre milioni di veicoli prodotto ogni anno, deve il suo successo anche alla ricerca sul piano del design delle vetture, sviluppato attraverso costose applicazioni 3D CAD e in collaborazione con professionisti attivi in dieci Paesi. Una modalità di lavoro che per anni ha comportato spostamenti continui delle risorse: le applicazioni infatti potevano essere utilizzate solo in locale, presso le sedi abilitate di PSA, in quanto necessitavano di workstation ad hoc sia per la sofisticatezza dei programmi sia per la grande quantità di dati generata da ogni progetto, il cui invio da remoto formava veri e propri colli di bottiglia nei network del gruppo. Oggi PSA riesce a orchestrare l’apporto dei propri collaboratori, ovunque essi siano, attraverso workstation virtualizzate che permettono alle risorse di lavorare insieme e contemporaneamente sullo stesso progetto a prescindere dalla loro posizione geografica, collegandosi da qualsiasi terminale, e questo rispettando tutti i severi parametri di sicurezza del gruppo.

La terza storia riguarda un’altra eccellenza made in Italy: per seguire le attività all’estero e andare incontro alle crescenti richieste di consulenza da parte delle case automobilistiche d’Oltreoceano, Dallara Automobili (specializzata nella progettazione e nella realizzazione di vetture da corsa) ha aperto nel 2012 un centro ingegneristico nei pressi di Indianapolis, un’operazione che ha comportato il ripensamento delle infrastrutture di comunicazione tra Europa e Stati Uniti. Il gruppo guidato da Andrea Pontremoli ha così adottato workstation virtuali che garantiscono la stessa efficacia di risposta di un desktop fisico, unite a software di ottimizzazione della connettività che hanno mitigato i problemi di latenza inevitabili in una connessione sulla lunga distanza e soluzioni per la protezione totale dei dati condivisi sugli smartphone, sui tablet e sugli altri device personali in dotazione agli ingegneri.

Le soluzioni Citrix per i nuovi ecosistemi trusted

Cos’hanno in comune tre aziende così diverse tra loro come Bauli, PSA e Dallara? Semplice: per rispondere alle nuove esigenze dettate dall’ambizione di diventare imprese 4.0 si sono rivolte a Citrix, che dispone di un portfolio a 360 gradi per aiutare le organizzazioni a condividere i processi superando gli ostacoli posti dalla frammentazione. Il focus di Citrix è sulla collaborazione sicura, anzi sulla creazione di un “trusted ecosystem”, che protegga le proprietà intellettuali attraverso una sicurezza-by-design. Un approccio sul quale poggiano i meccanismi di accesso, di distribuzione e di elaborazione di dati e applicazioni, a prescindere dalla rete e a prescindere dal dispositivo client. Questo significa garantire alle imprese la massima indipendenza rispetto alle possibili scelte dei loro provider, rispetto alle architetture di delivery dei servizi e di ogni possibile futura modifica. Citrix inoltre ha sposato in pieno la visione dell’It bimodale, nella quale è centrale il dialogo tra IT (Information Technology) e OT (Operational Technology) e si muove nello specifico nell’application layer, con un’offerta completa e modulare, supportata da una rete di partner certificati, che aiuta le imprese a costruire un percorso di innovazione su misura, senza strappi e in funzione delle reali esigenze di crescita e condivisione delle organizzazioni. Che è poi l’unico vero modo di affrontare correttamente la sfida dell’Industry 4.0.

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